LA LANGUE. MARCA PATATA

Lezioni condivise 100 – Polemiche linguistiche e complessità.

31 Mag 2015 @ 21:58

Quando siamo nati in pochi anni abbiamo imparato una lingua, i più fortunati due o anche più, ed è stato un fatto naturale cui non abbiamo fatto caso più di tanto; ancora bambini probabilmente abbiamo anche appreso dell’esistenza di tante lingue e tante altre cose a seconda dei nostri studi e interessi. La situazione odierna presenta una differenza sostanziale: i bambini di un tempo erano naturalmente bilingui (imparavano in modo naturale sia la lingua ufficiale e passivamente la seconda lingua o dialetto), quelli di oggi un’altra lingua o dialetto possono apprenderli solo a scuola. Insomma la relativa apertura della società verso il multilinguismo, non riesce a compensare quanto si imparava in casa o con gli amici, per di più in regime di proibizione a usare lingua che non fosse l’italiano, per quanto ci riguarda come sardi.

Non tutti ancora sanno perché parlano una determinata lingua e soprattutto quale dibattito, quali polemiche, quali battaglie, quale storia vi sia dietro l’idioma che si parla, non è esattamente un fatto ereditario e lo è ancora meno per le colonie. Certe zone marginali hanno dovuto cambiare lingua ufficiale e/o dialetto, a causa della forza delle armi o per ragion di stato. Chiediamoci perché ancora viene impedito nelle scuole lo studio della storia sarda.

In tale argomento sono comprese anche le polemiche tra linguisti e dialettologi, terminologie che non avrebbe senso separare, ma occorre farlo per comprendere le rispettive posizioni. Per intenderci i linguisti sarebbero i difensori della lingua ufficiale, i dialettologi quelli della lingua a tutto campo, senza preclusioni di sorta.

Nei primi anni del novecento, dopo l’acceso dibattito che caratterizzò trent’anni prima la questione della scelta della lingua italiana ufficiale – dibattito che si trascinava fin dall’epoca medievale, sebbene esclusivamente in funzione letteraria -, ci furono accese polemiche relativamente alla geografia linguistica e in particolare alla redazione delle carte, ovvero se puntare su parlata urbana o rurale, in sostanza se valorizzare il “dialetto” o meno. Ciò sulla scia dei diversi studi che presero in considerazione l’inserimento del lessico rurale nel vocabolario, a suo tempo non condiviso dal Manzoni, che insisteva sul fiorentino. Lo scontro venne sintetizzato come polemica tra atlantisti (favorevoli al lessico rurale sia negli atlanti che nel vocabolario) e vocabolaristi, che invece erano contrari alla “contaminazione” del lessico fiorentino.

La prevalenza numerica dei primi, che si estrinsecò in una vera e propria corrente letteraria, dal verismo al regionalismo, fino agli albori del neorealismo, non riuscì ad infrangere l’ufficialità della lingua standard, ma a lungo andare di fatto lo fece e se ne ha riscontro nella linguistica e nei vocabolari odierni.

Furono pubblicati dei testi che trattavano il tema direttamente, come I Beati Paoli (1909) di Luigi Natoli, – giornalista, filosofo, storico, filologo – romanzo popolare il cui intento era infondere nel lettore il rapporto tra letteratura ‘alta’ e letteratura ‘bassa’, inteso come una mistura di registri e modalità narrative. Il romanzo popolare in definitiva conferma, sul piano storico-linguistico, la fluidità della norma otto-novecentesca, capace di veicolare contenuti socio-identitari e socio-etici destinati a radicarsi nella memoria popolare.

Un limite dei vocabolari, relativamente allo studio dei significati, secondo gli atlantisti, è che sarebbero elaborati in ordine alfabetico per cui non si possono fare paralleli concettuali veloci.

Gli atlanti, invece, documentano la parola, non la langue; l’atlante rappresenta l’idioletto del singolo parlante, perché l’informatore è uno solo per scheda, scelto secondo dei precisi criteri.

La parola da attestare è la prima detta, sono esclusi sinonimi e ripensamenti. Semmai può essere ricostruito il contesto della risposta, la discussione, se l’informatore ha avuto dubbi, se si è corretto, se si riscontra che la domanda è stata mal posta, fraintesa, male interpretata dal raccoglitore.

Il linguista Mc Lion segnalò gli errori di Ugo Pellis nella ricerca sui volatili in Sardegna, in quanto estese tutti i nomi raccolti in un centro montano a tutta l’isola. Nel suo caso le cose furono complicate anche dall’incompetenza dei parlanti. Questo è un limite che viene posto agli atlanti linguistici, in quanto uno stesso questionario non è adeguato a tutte le aree, tanto meno è efficace un questionario nazionale. Che senso avrebbe infatti indagare su l’alpeggio (allevamento in altura) in Sardegna o sul mare al nord?

Un questionario non può prescindere dallo studio dell’area in cui è somministrato, in quanto deve garantire delle omogeneità; a un’area variegata si adegueranno i punti di inchiesta la cui caratteristica dovrà essere la rapidità, la risposta spontanea.

L’atlante regionale consente di studiare questionari più precisi, adeguati, benché ogni ricercatore abbia i propri metodi: il Contini ha raccolto dati in tutti i paesi della Sardegna, producendo una lessicografia localistica.

Peraltro vi sono diverse metodologie che possono essere adottate a seconda dell’oggetto dello studio; per la sintassi sono utili le trasmissioni radiofoniche, che non creano interferenza.

Altri sistemi sono gli etno testi: basati su conversazioni guidate, utilizzabili in senso diacronico.

Vi sono studi di tipo onomasiologico: studio delle parole, dei segni linguistici o la raccolta di denominazioni di materiali iconografici (Atlante italo-svizzero, AIS, per il quale Wagner fece l’inchiesta in Sardegna).

Gli step per la realizzazione di uno studio di dialettologia: esporre i materiali raccolti evidenziando le parole dialettali; indicazione delle modalità d’inchiesta, schedatura materiale linguistico (una scheda per ogni parola).

Il concetto di “Marca”.

Riguarda il campo della fonologia, specie per le opposizioni fonologiche (es. differenza tra t e d, una meno sonora, l’altra più sonora), ma si è poi esteso a tutta la grammatica, morfologia, sintassi, lessico.

La marca mette a confronto due o più forme linguistiche: una forma marcata è una forma non primaria, ovvero rispetto ad essa è marcata da un segno, un suffisso, una desinenza che la differenzia rispetto al lemma originario.

L’esempio più elementare è prendere una forma neutra o base e marcarla, ad esempio casa è un sostantivo non marcato in italiano rispetto a cas-e (plurale) o cas-etta (diminutivo): la parola abbraccia genericamente tutto il campo semantico, mentre cas-e, la forma marcata, si riferisce a molte case, esclude dunque il significato base. Lo stesso dicasi per maschile-femminile, es. alto, alt-a, il maschile è considerato non marcato perché convenzionalmente anche neutro, racchiude in se un significato generale, quello femminile solo il suo.

La marcatezza è un concetto molto elastico e generale: ci sono infatti pochi criteri base per determinare quale forma è considerata marcata e quale no.

Una marca è riferibile a diversi campi semantici, ma anche a tutte le variabili spazio temporali, culturali, religiose, rituali, scientifiche, dialettali, colloquiali, standard, solenni, gergali, poetiche e via dicendo e più nel dettaglio: a) le professioni e discipline; b) varianti socialmente marcate, con riferimenti eterogenei in base a luogo o modalità di enunciazione: gergo, dialetto (regionale, studentesco, tecnico/gergale, dei bambini… c) Varianti arcaiche (es. scortese, mal sonante, volgare, popolare), albero opzioni avanzate (codici), brand.

Franz Josef  Hausmann (1989) definì i macrocampi in cui possono agire i marchi, tra cui: quello diacronico (che marca i fenomeni di tempo, presente-passato, vecchio-nuovo) diatopico (inerente lo spazio, variabilità della lingua comune, regionale…), diaintegrativo (nazionale/estero), diamesico (parlato-scritto), diastratico (alto-basso), diafásico (formale-informale), diatestuale (poetico-letterario-giornalistico-amministrativo), diatécnico (speciale/comune), diafrequente (comune/raro),  diaevaluativo o diaconnotativo (connotativi, eufemismi), dianormativo (giusto/sbagliato).

Santillana dell’Università di Salamanca, si riferisce in modo esplicito ai marchi.  Individua quattro tipi di marchi:
a) Termini tecnici (Aer, aeronautica)
b) Marchi di uso o registro (9 marchi: ristretto, rurale, volgare, slang, colloquiale, letterario, elevato, amministrativo, affettivo).
c) Marchi pragmatici (23 marchi): affermazione, minaccia, anticipatori, disgusto, rabbia, insultare umoristico dei bambini…
d) Ispanoamericanismi (il resto dei termini dialettali dello spagnolo). Buon riposo!

(Linguistica sarda  – 18.4.1997) MP

Commenti (2)

LA LANGUE
2 #
Simona
simoseru@tiscali.it
2.38.94.2
Inviato il 13/08/2015 alle 19:37
Interessante scoprire che ancora qualcuno scrive sul suo blog e soprattutto interessante leggerlo.
dovremmo sempre ricordarci tutto ciò, ma anche ricordarci di trattare bene le lingue 😉
grazie

LA LANGUE
1 #
greta cabrera
hummingbirdtattoo.org/
greta.cabrera@gmail.com
198.52.228.189
Inviato il 30/06/2015 alle 23:33
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