SIAMO IN FASCIA PROTETTA

Lezioni condivise 77 – Isabella di Castiglia

31 Mag 2013 @ 3:05 PM

Non so a quanti possa essere capitato, ai tempi della scuola elementare, una sorta di apprendimento “random”, c’est a dire, percepire ogni tanto una parola o una frase mentre si era intenti a navigare con la fantasia per lidi più stimolanti e trasformare quanto captato in un concetto creativo, ma completamente avulso dalla sostanza della lezione.

La casistica potrebbe essere composita. Un esempio memorabile riguarda l’associazione di una parola, che infranse il fantastico viaggio, a un’altra omofona già conosciuta.

Resistenza per me era quell’aggeggio vagamente a forma di tempio a pozzo o di tomba egizia (da qualche parte devo aver raccontato delle decine di film di antichi egizi che mi son sorbito da bambino) che mio padre frequentemente sostituiva nel ferro da stiro, dicendo dopo averlo controllato “Est sa resistenza”.

Dopo le difficoltà ad accettare un’altra realtà e l’imbarazzo per il qui pro quo, mi chiesi certamente se fossi stato il solo ad andare in quella direzione così elettrica

L’altro aneddoto, più pertinente a questa lezione, riguarda un curioso scambio di persona.

C’è da premettere che tanti adulti persistono nel credere assolutamente ingenui i bambini, pur essendolo stati anche loro. Si comportano come se non ci fossero anche quando non sarebbe opportuno. Anche in TV ripetono continuamente “siamo in fascia protetta”, espressione molto “educativa” che non cadrà nel vuoto. Non ci si stupisca allora di veder stracciate le proprie convinzioni moralistiche di adulti, dimenticando che da bambini capitava di leggere fumetti come Isabella, Lucrezia e Messalina.

Ciò detto, per molto tempo fui convinto che le gesta della duchessa De Frissac, francese, del seicento e personaggio di fantasia, fossero quelle di Isabella di Castiglia da adolescente.

Alcuni storici immagino non abbiano avuto il mio stesso misunderstanding per avanzare dubbi sulla figura morale della Regina più famosa dell’età moderna, peraltro gli antagonisti, come in ogni conflitto radicale che si rispetti, la vorrebbero santa.

Isabella di Castiglia è una figura mitica della storia europea e non solo. Erede del casato di Trastàmara e d’Aviz, ma con un surplus di parentela nobiliare labirintica. Figlia del re Giovanni II, sorellastra del di lui successore Enrico IV, cui a sua volta successe nel 1474 – sebbene il regno rimase in bilico per la complicata guerra di successione intentata dai sostenitori di sua “nipote” Giovanna, indicata erede al trono quando si seppe delle nozze segrete tra lei e Ferdinando D’Aragona, celebrate nel 1469, che violavano il trattato che la designava regina con la clausola di sposare il re di Portogallo Alfonso V. Egli stesso avviò la guerra giacché diventato nel frattempo marito di Giovanna.

La figura di Isabella ha in parte oscurato quella del consorte, “cugino” d’adozione. Con il loro matrimonio si deve, de facto, la nascita dello stato moderno di Spagna, sancito dall’unione tra le corone di Castiglia e Aragona. Detta “la Cattolica”, a lei viene attribuita a torto o a ragione, in quanto regina dello Stato che finanziò il viaggio, la scoperta dell’America. Da lei e dal consorte fu accolto Colombo a Barcellona, e quando questi scoprì il nuovo mondo lo “donò” a Castiglia e Leon.

Le si attribuisce anche l’avvento dell’inquisizione in Spagna (fu forse più colpa di Ferdinando), ma è stata anche la regina del completamento della reconquista, conclusa nel 1492 con la presa di Granada.

L’ascesa al trono di Aragona di Ferdinando II non fu meno intricata, specie per le trame della madre Giovanna Enriquez; era lei che aspirava al matrimonio del figlio con Isabella, celebrato poi in segreto per l’opposizione dei nobili di Castiglia. Ferdinando era allora re di Sicilia. Successe al padre Giovanni II, re d’Aragona, solo nel 1479 e da questo momento operò di fatto come sovrano di uno stato unitario, sebbene legalmente i due regni fossero ancora distinti. Fu attivo soprattutto nella politica estera e militare, per la chiusura della faccenda di Granada, ultimo avamposto musulmano in Spagna e per la contesa con il Portogallo per la conquista del nuovo mondo, culminato con il trattato di Tordesillas del 1494, che in buona sostanza favorì la Spagna, rispetto alle bolle papali che lo precedettero.

In generale in quel periodo le monarchie venivano concepite come proprietà privata del sovrano, tale era la Castiglia per Isabella. Più complesso il discorso per l’Aragona, il cui territorio più importante, la Contea di Catalogna, con la città di Barcellona che godeva di particolari privilegi, era governato dalle Cortes (Generalitat), che diedero parecchio filo da torcere a Ferdinando.

Questi costituì il Consiglio d’Aragona nel 1494; ne facevano parte anche i castigliani, per la reciproca informazione e rappresentanti di tutti gli stati della corona (per la Sardegna, in un primo tempo parteciparono gli stessi catalano-aragonesi di stanza nell’isola, solo dopo il 1600 furono nominati realmente dei sardi).

Benché i due regni fossero uniti di fatto nella figura dei sovrani, le loro istituzioni rimasero separate. La Castiglia in quanto regno più ricco, fu quello in cui i sovrani stabilirono la loro residenza (per Aragona e Catalogna fu nominato un viceré). Tuttavia si trattò di una sorta di regno itinerante con continui spostamenti, specie da parte di Ferdinando.

La capitale era allora Toledo, ma la politica veniva esercitata prevalentemente a Valladolid e le questioni economiche a Burgos.

Un problema spinoso per i reali di Castiglia era la prepotenza nobiliare nel territorio e i numerosi privilegi concessi alle città. L’imposizione del Tribunale della “santa” inquisizione, nel 1478 fu dunque anche uno strumento politico per il controllo del dissenso e degli abusi.

I re cattolici fin dal 1482, per la loro fedeltà alla chiesa, ottennero il privilegio di designare i vescovi spagnoli al papa per la successiva nomina; questa presentazione avveniva sotto forma di supplica. Essi sfruttarono questo privilegio organizzando le terre della reconquista anche sotto il profilo religioso fin dal 1486.

Non tutto il potere fu concentrato nel Consiglio Reale. Isabella organizzò lo stato con i tre rami: nobiliare, clericale e reale (città regie) nelle cortes (il parlamento), rispettò le autonomie regionali e i fueros (consuetudini) e questo, insieme al suo senso di giustizia e clemenza, le procurò il consenso popolare.

Promulgò un codice valido per tutto il regno, che venne pubblicato nel 1484 con il titolo di Ordenanzas Reales de Castilla. Ella presiedeva quasi settimanalmente le sedute dei tribunali e dava pubblica udienza a chiunque ne facesse richiesta.

Creò i tribunali locali, le audencias; in Sardegna la “Reale udienza”, che essendo lontana dal potere centrale, godeva di ampi poteri. C’era anche un tribunale di ultima istanza, con la sola possibilità di grazia da parte della Regina.

Costituì inoltre delle commissioni o consigli (auxilium et consilium) su guerra, stato e ogni altro aspetto di governo, garantendosi un più efficace controllo della nobiltà.

In funzione di legare la corte con le città fu istituita la figura del Corregidor (sorta di commissario); non doveva essere del luogo in cui operava, né avervi parentele o interessi. La funzione era a tempo determinato e prima di lasciare l’incarico il suo operato era soggetto a controllo.

La guerra per la conquista del sultanato di Granada non fu semplice, durò undici anni, dal 1481 al 1492 e la capitolazione degli arabi fu dovuta a loro controversie interne e tradimenti, peraltro familiari, su cui si raccontano storie degne dei festini arcoresi.

Insomma ci fu una parte che vendette Granada e diede pure una mano a sbarazzarsi dell’altra. Nel trattato che ne conseguì del 1491, gli spagnoli si impegnavano a garantire la libertà religiosa ai musulmani. Solo pochi mesi dopo, sciolto il Sultanato, questi diritti vennero revocati con il decreto di Alhambra (che nella sostanza riguardava l’espulsione degli ebrei non convertiti al cristianesimo) e l’iniziò della campagna per la limpieza de sangre, che coinvolse anche i musulmani (moriscos) e gli ebrei (conversos o marrani) convertiti, discendenti compresi, giacché ben presto si cominciò a sospettare che le conversioni fossero solo fittizie e si continuassero a praticare le religioni di provenienza in privato, solo per non essere espulsi; ma a moriscos e conversos, fu destinato anche di peggio, accusati di eresia, furono le vittime primarie dell’inquisizione.

(Storia moderna – 21.2.1997) MP

Commenti (1)

“Siamo in fascia protetta”
1 #
giulia
g@alice.it
87.4.24.132
Inviato il 29/05/2013 alle 00:31
Dinnanzi alla storia non si favella… o sì?

QUELLI CHE POSSEDEVANO IL CAVALLO, OH YES…

Lezioni condivise 64 – Nobiltà e società spagnola postgotica

30 Apr 2012 @ 10:56 PM

La nobiltà spagnola, erede della Visigota e figlia della reconquista, ne è stata in qualche modo protagonista, in quanto strumento utilizzato dai Re per quel preciso scopo.

Non si tratta, almeno nel periodo in esame, di quella categoria di cui si diffida per essersi fatta durante la storia passata o recente una cattiva nomea (come per i politicanti, militari, polizia, preti, economisti, capitalisti, amerikani, e via dicendo): la nobiltà spagnola durante la reconquista, va considerata con alcuni distinguo. Essa non fu fine a se stessa, ebbe un ruolo storico, il cui alone leggendario limita l’iniquità della sua essenza sociale non egualitaria, che tuttavia osserviamo con il dovuto distacco espositivo.

Nei primi secoli delle monarchie iberiche il titolo nobiliare più elevato era quello del rico ombre (in portoghese rico-homem). Ne Las Siete Partidas di Alfonso X si legge che “Secondo il costume spagnolo, sono chiamati ricos-hombres coloro che in altri territori si dicono conti o baroni” e il re li chiamava cugini.

Si chiamavano ricoshombres per il fatto che avevano molti vassalli e possedimenti che i re concedevano loro, secondo i meriti nel sostenerlo nella reconquista e ripopolazione delle terre.

Las Siete Partidas era, come diremmo oggi, un testo unico, cioè un tentativo di raccogliere tutte le leggi e le consuetudini locali, vigenti nel decaduto regno visigoto, di cui Alfonso X rivendicava la continuità.

Il testo era sommariamente così concepito:
A l servicio de Dios … (Per il servizio di Dio …)
L un FFE Catholica … (La fede cattolica …)
F Izo Nuestro Sennor Dios … (Il Signore Dio ha fatto …)
O ANR sennaladas … (Riti speciali …)
N Ascen entre los ommmes … (Tra gli uomini non nascono …)
S esudamente dixeron … (Gli antichi saggi saggiamente dissero …)
O luidança et atreuimiento … (L’oblio e l’audacia …).
Una sorta di acrostico forzato con all’interno contenuti più documentali.

Con il regno visigoto di Spagna ormai diventato Al Andalus in seguito all’occupazione arabo/megrebina, quel che rimaneva dell’antico popolo venuto dalle pianure danubiane, organizzava la propria riscossa con l’hidalguìa, una investitura d’onore, senza feudo, ma con l’onere di andare in guerra nel momento in cui il Re lo avesse chiesto, mantenendo un proprio cavallo e proprie armi, esercitandosi militarmente, con l’idea di respingere gli occupanti.

Etimologicamente hidalgo viene da hijo de algo o hijo de alguien (lett. “figlio di qualcuno”, cioè qualcuno che conta), dunque ricco, si rifà quindi al concetto di rico homem; una via di mezzo tra i ricohombre e caballero. Ma le denominazioni si confondono nel tempo, così che nel XII sec. queste differenziazioni sostanzialmente cadono.

Gli hidalgos nascono quindi come soldati della reconquista, nobili del nord o senza titolo. Hidalgo è ancora oggi sinonimo di nobile nei paesi di lingua spagnola e portoghese, ma nasce come termine che sta ad indicare la nobiltà originariamente non titolata.

I titoli venivano allora trasferiti al primogenito (majorascato), l’erede (affinché il patrimonio non si smembrasse), mentre gli altri diventavano conquistadores, che dovevano cioè conquistare sul campo la propria ricchezza.

La hidalguìa dava diritto a una serie di privilegi e distinzioni sociali, talché gli hidalgos erano esentati dal pagare le tasse, ma non necessariamente possedevano beni immobili. Questi privilegi erano i fueros. anch’essi uniformati ne Las Siete Partidas.

I fueros raccolgono il diritto locale fin dall’XI secolo, si distinguono tra breves (consuetudini) ed extensos (leggi).

Tra i più importanti c’è il Fuero Juzgo del XIII secolo (1241), una versione in lingua castigliana del Liber Iudiciorum (654 d.c.), una compilazione di leggi territoriali che derivano dalle norme consuetudinarie importate dall’esperienza dei Visigoti nella Spagna del V e VI secolo.

In un contesto più ristretto il “fuero” rappresentava il riconoscimento scritto che il signore feudale faceva nei confronti di realtà più piccole ed aveva generalmente ad oggetto il patrimonio. Per questa ragione diventò presto sinonimo di privilegio accordato dal Signore.

Tra i testi più importanti in questo senso si possono citare la carta di Aviles (1085) e la Competenza di Oviedo, in leonese, nonchè la Carta dei Caldelas Castro (1228), il più antico documento scritto in galiziano.

Nelle Asturie, gli hidalgos arrivarono ad essere quasi l’80% della popolazione, e nel caso della Cantabria questa percentuale fu addirittura maggiore, arrivando all’83% nel XVI secolo e superando il 90% intorno al 1740. Nella signoria di Biscaglia, esisteva anche il cosiddetto diritto di hidalguía universal, in virtù del quale i biscaglini erano hidalgos per nascita.

Questa inflazione portò a delle distinzioni tra hidalgo de sangre e hidalgo de ejecutoria, fino alla completa abolizione dei privilegi in seguito all’avvento del liberalismo all’inizio del XIX secolo, senza comportare l’abolizione della nobiltà.

Il prototipo di hidalgo nella letteratura romanzesca è Don Chisciotte, a cui viene dato il nomignolo di “hidalgo genial” da Miguel de Cervantes. Nel romanzo viene rappresentato satiricamente come un hidalgo de sangre.

A reconquista ormai compiuta, nei regni cristiani del nord della penisola iberica, appaiono i nobiles de segnario (signorie), possessori del maniero (señorio), che ricalcava il feudo dell’impero carolingio. Si diffusero, in termini di rifeudalizzazione, quali doni per meriti e servizi resi al sovrano. Il titolo maggiore era quello del Señor. Egli governava, legiferava, coniava moneta, riscuoteva le tasse e organizzava la leva, ma sotto il controllo del Re (Señor per eccellenza), di cui era vassallo. Non vi era ancora il contratto feudale, che garantiva più indipendenza. Il señorio resistette fino al XIX secolo, abolito dalla Costituzione del 1812.

Nella scala sociale spagnola vi era poi il Terzo ordine (sempre con riferimento alle Siete partidas) cioè il popolo, ma riferito più precisamente a chi lavorava per i Señores. Mentre all’inizio della reconquista il popolo erano i contadini, gli uomini liberi (di città), agricoltori, lavoratori alle dipendenze dei conventi o di signori.

Gli abitanti delle città, i vecinos (cioè i nativi) acquisirono privilegi, in particolare i commercianti e gli artigiani. Nelle città agivano i probiviri o probos hombres, mentre si creava il concetto di fuero, come diritto.

In realtà raccapezzarsi nella giungla nobiliare del feudalesimo spagnolo non è un’impresa semplicissima e lineare. Che dire dei signori della forca e di coltello o dello ius utendi et abutendi, nonchè della ius prime noctis o jus primae noctis…?

(Storia moderna – 31.1.1997) MP

Commenti (9)

Quelli che possedevano il cavallo, oh yes…
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bacio tesoro.

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Ciao e buon caldo che giovi.
Ricordo un film di anni fa credo “padre padrone” che racconta la vita dei pastori sardi e la disputa in quei giorni fra la storia sarda e dei pastori spagnoli che reclamavano la solita tradizione. Mai dimenticato quando i padre strappa dall’aula di scuola il figlio giunto all’età di andare a guardare i greggi. Ogni passato ha da non dimenticare la fatica e i sacrifici e i dolori.
Speriamo in un presente sia nostro che spagnolo più ricco di ottimismo e risultati gratificanti.

Quelli che possedevano il cavallo, oh yes…
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Aspetto il seguito alla jannacci.

Quelli che possedevano il cavallo, oh yes…
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andreapac
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Inviato il 29/04/2012 alle 09:37
Buona domenica, grazie della visita e la dritta.
Picasso raccontava di non aver mai conosciuto il tuo citato. Stiamo attententi a menzionare certi episodi. Se ne racconta tante post morte. Rimane un grande anche se per noi ominidi la carne è debole.

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