MARRANU CHI TI MOVES!

Lezioni condivise 101 – La rivoluzione dei prezzi

30 Giu 2015 @ 11:59 PM

La Storia se la volti e la rivolti può sembrare un’altra storia. A seconda di come la prendi, da questo o quell’avvenimento, da questo o quel tema, dal mare o dai monti, da una donna o da un uomo, da un tetto o da una strada, dalla città o dalla campagna, dal re o dal Popolo, potrebbe sembrare un argomento nuovo, mai trattato, finché si arriva al nodo, che unisce ed esplica.

La Storia non è una questione di apparenze, di opinioni e forse neppure di metodi, anche se da un minimo di regole può scaturire una scrittura più obiettiva, tuttavia non la scrivono le macchine, ma l’uomo e ciò può bastare per comprendere la miriade di variabili che ci si può trovare ad affrontare.

A volte la Summa finisce per essere sommario, pertanto conviene porsi degli obiettivi minimi che altri esamineranno, approfondiranno, confuteranno.

La domanda che mi pongo ora è se la Storia sia un tutt’uno, ovvero, se muova da un centro, o se sia un insieme di motori che, operando nello stesso spazio, vengano a contatto, interagiscano, si separino di nuovo e così via.

La mia risposta, ora, è che le due opzioni non sono in contrasto: i centri da cui muove la Storia possono essere tantissimi, per “semplificare” direi, almeno uno per ogni persona vivente, pertanto è quasi miracoloso che si pervenga a delle sintesi, tante, ma almeno un po’ più circoscritte.

Capisco che il ragionamento potrebbe apparire del tutto specioso, ma nessuna domanda che noi possiamo porci lo è, neppure quelle che possono apparire o sono retoriche.

La rivoluzione dei prezzi nell’Europa del Cinquecento è un fenomeno accidentale o è collegata alla Storia anche non economica del periodo? Domanda appunto retorica. Il disaccordo verte su quali fatti e in che misura abbiano influito, – senza scomodare teorie letterarie considerate in A Sound of Thunder di Ray Bradbury e dal film The Butterfly Effect e per certi versi anche da Source Code e magari altri -; ogni risposta, alla fine, è frutto di un ragionamento individuale, che può diventare collettivo e opinione diffusa, in base a regole sociali, autorevolezza, capacità… argomento inesauribile.

Dall’inizio del Cinquecento e fino al 1620 ca, in Europa, si verificò un progressivo e non congiunturale aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità, cui seguirono avvenimenti ed effetti a catena: carestie, impoverimento, nascita delle officine, abbandono delle campagne, incremento demografico, aumento della domanda, svalutazione monetaria, inflazione, la crisi della corona Spagnola, che si indebitò con i Fugger (banchieri tedeschi), che a loro volta fallirono…

Il sistema economico di allora non prevedeva bilanci di previsione, ma solo consuntivi. Si contava molto sulla prodigalità dei nobili. Con l’inflazione a rimetterci erano i creditori, tenuto conto che i debiti non venivano mai saldati al 100%, erano favoriti gli affaristi, i borghesi. Si corse ai beni rifugio: case, terreni, imprese… Nel mercato si fece tangibile il fenomeno della concorrenza che finiva per favorire la scarsa qualità: ad esempio i tessuti inglesi erano preferiti a quelli italiani, più cari, per la tradizione dei produttori rinomati.

Gli storici si sono interrogati su questa serie di eventi e conclusero che ne fosse causa, soprattutto l’inflazione, prodotta dalla massiccia importazione di oro e argento in seguito alle nuove scoperte geografiche. Inutile dire che esse avranno avuto la loro parte di influenza sugli eventi europei, sull’economia e crisi del Mediterraneo, che dovette subire lo spostamento dei traffici e la decadenza dei porti più influenti, Genova, Pisa, Napoli e Venezia.

Questo collegamento esclusivo ha resistito fino ad epoca contemporanea ed era vero che essendo le monete coniate con i metalli preziosi, perdevano valore, causavano inflazione e aumento dei prezzi. Nella seconda metà del secolo scorso queste tesi furono messe in discussione; si constatò che l’aumento dei prezzi ebbe inizio prima della scoperta dell’America e riguardò soprattutto i beni di largo consumo, come gli alimentari. A causa dell’incremento demografico la domanda divenne superiore all’offerta, che a sua volta era insufficiente, per la scarsità degli addetti agricoli e dei metodi di coltivazione obsoleti.

Queste furono le premesse per la crisi del Seicento, che arricchì i nobili produttori/proprietari, i fittavoli, i mercanti, e impoverì ulteriormente chi viveva di un salario.

Ma come accennavo in premessa ogni avvenimento non può mai essere (o quasi mai, solo per evitare affermazioni assolute) fine a se stesso, è sempre originato da una causa, da più di una causa, una concatenazione di cause, che formano la Storia stessa. Cause prossime e remote, dirette e indirette.

Se volessimo partire da molto lontano potremmo tornare alla fine del Trecento con la decadenza di Costantinopoli e dell’impero bizantino, fino alla sua definitiva caduta nel 1453 per via dell’invasione ottomana, che per secoli minacciò l’Europa e costituì l’imput reale della crisi, con il blocco delle vie tradizionali delle spezie, verso le Indie.

In pochi anni si tentarono vie alternative doppiando il Capo di Buona Speranza e navigando verso occidente. Come sappiamo i paesi più attivi furono Portogallo e Spagna, seguiti da Olanda e Inghilterra e in tono minore dalla Francia. Gli stati italiani disponevano solo dell’iniziativa di navigatori privati e senza mezzi.

I rapporti amichevoli con i nativi americani durarono poco, iniziò presto la colonizzazione e vennero spazzate via civiltà come quelle Atzeca, Maia e Inca, altri popoli meno consistenti resistettero più a lungo, ma alla fine ebbero più o meno la stessa sorte.

Un fatto così epocale, che dà inizio all’Era Moderna, non può non avere avuto contraccolpi in Europa, può sorprendere piuttosto che essi siano negativi. Per questo le ragioni vanno ricercate anche all’interno delle politiche degli stati europei, e al tempo chi condizionava le sorti dell’Europa era la Spagna, in gran parte responsabile della propria decadenza per ragioni alle quali non si diede il giusto peso e soprattutto un peso economico.

Mi riferisco al fenomeno definito della limpieza de sangre, all’inquisizione, alla cacciata di ebrei (1499) e moriscos (1609), atti dei quali non si valutarono le conseguenze: sulla Spagna si concentrò l’odio di tutti i riformatori cattolici, definiti protestanti; la dipartita della ricchezza ebrea impoverì lo stato, mentre quella dei moriscos (eredi degli arabi ricacciati dalla reconquista) e successivamente anche dei conversos mori, tolse braccia determinanti all’agricoltura.

La discriminazione degli ebrei e la loro ghettizzazione è una storia complessa di antica origine, su ogni ebreo veniva fatta ricadere la colpa dell’assassinio di Gesù, il Cristo; mi chiedo sempre come mai tale atteggiamento non abbia interessato anche i romani: è dunque solo un pretesto. Il pregiudizio popolare è quasi sempre guidato dalla politica e dall’economia, capirei di più se esso fosse oggi legato al genocidio dei Palestinesi, ma non è così.

Quando politica e religione, molto colluse nella Spagna dell’epoca (il re aveva poteri sulla nomina dei vescovi), si impossessarono di questo ricorrente pregiudizio, lentamente si diede origine ai Conversos (dal latino conversus, “convertiti”, o Cristianos nuevos), gli ebrei e i musulmani che diventavano Cristiani, una sorta di marchio che ereditavano anche i loro discendenti. Si trattava evidentemente di conversioni di facciata, per convenienza, costrizione o indifferenza religiosa.

In poco tempo si imposero termini meno generici. I convertiti di origine arabo/moresca furono definiti moriscos, o anche mudéjar (corruzione di parola araba che significa “regolarizzato”), riferita in origine ai mori che intesero rimanere in Spagna ed erano autorizzati a praticare la loro religione. La mano della repressione fu in sostanza meno dura con gli arabi, messi di fronte alla scelta di convertirsi o andare via. Gli ebrei furono perseguitati anche dopo la “conversione”, in sostanza non vennero mai considerati davvero Cristiani, i più continuarono a praticare l’ebraismo di nascosto, finendo sotto i ferri dell’inquisizione. Per i conversos ebrei fu adottato il termine di marranos, dall’ebraico marah, ribelle, che desemantizzato ha assunto un significato molto dispregiativo. Ancora oggi, nella lingua sarda, il neologismo di un tempo, viene usato come forma di monito del tipo “Sei un marrano se fai questo o quello…”, senza che ci si chieda da dove venga la parola marranu.

La storia dei marranos è molto complessa, essi solitamente ricchi e influenti talvolta riuscivano ad infiltrarsi nelle maglie del potere e della chiesa, fino ad annoverarsi tra i santi (Santa Teresa d’Avila) e addirittura nell’inquisizione (si vocifera dello stesso Torquemada). Molti di essi si rifugiavano in convento.

Se ne descrivono tre categorie: quelli zelanti – che per dimostrare il loro distacco perseguitavano gli ebrei o li disprezzavano pubblicamente -, quelli falsamente convertiti e quelli costretti a forza che non abiurarono.

Vi erano addirittura epiteti ingiuriosi locali: in Catalogna haram (vietato), riferito al fatto che non mangiassero carne di maiale o xuetes, nelle Isole Baleari, dalla mistura con carne di porco che veniva consumata in pubblico per dimostrare la sincerità del loro cattolicesimo, mentre gli ebrei rimasti tali li chiamavano anusim (costretti), posizione indulgente; mentre per la chiesa ebraica, in molti casi complice della persecuzione, erano meshumadim (ebrei apostati).

Le cronache del tempo sono piene di episodi in cui, per futili motivi, si fa strage di marranos; talvolta fu l’autorità pubblica a dover intervenire in loro difesa, in questo senso maggiori furono le tutele in Portogallo. Ciò provocò l’abbandono della penisola iberica da parte di molti conversos, che cercarono asilo in stati europei più tolleranti, come la Francia, l’Olanda e alcuni stati italiani.

Non sembri strano dunque che parte delle vicende economiche e non che viviamo oggi, come fu per la rivoluzione dei prezzi la crisi dell’impero bizantino, trovino la loro origine nelle politiche iberiche di Cinque e Seicento, in altre parole, i nostri comportamenti oggi riguardano anche le generazioni future e ciò deve essere uno stimolo per contrastare l’imbarbarimento della politica globale.

(Storia moderna – 23.4.1997) MP

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ADIANTE PEREIRA!

Lezioni condivise 73 – L’espansione coloniale portoghese

 31 Gen 2013 @ 8:00 AM

Non c’è espressione più ambigua di “popolo americano”. Esiste un popolo americano? e se esiste qual è? chi legittimamente può definirsi “americano”? i popoli nativi al limite, non i coloni, un coacervo di genti provenienti prevalentemente dall’Europa e di origine ancora distinguibile.

La “democrazia” amerikana per ogni diritto che concede, un altro legittimo ne nega. Gli USA (…e getta) ad esempio, concedono cittadinanza ai nati sul loro suolo, ma la negano da sempre ai popoli nativi, sono uno stato fondato sull’illegalità, sulla violazione dei trattati da essi stessi imposti.

Agli albori dell’Alto medioevo gli spostamenti di interi popoli hanno dato luogo nel mondo antico a nuove nazioni, pressoché omogenee sotto il profilo culturale ed etnico. Non si può dire la stessa cosa per i diversi flussi di migrazione nelle Americhe – il massimo dell’eterogeneità – che iniziano un millennio dopo, in terre ove sono stanziati altri popoli, altre nazioni, con la loro civiltà e la loro cultura, che verranno emarginati, rimossi, sterminati, cancellati.

Nelle Americhe, pertanto, insieme a quel che rimane dei popoli nativi, vivono porzioni di popolo inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, italiano, francese, cinese, giapponese e via dicendo. Non si tratta di radici così solide da permettere che si parli di un’altra nazione, siamo di fronte a poche generazioni di immigrati europei. La storia è testimone del genere di persone che furono mandate via dall’Europa per popolare gli USA e cacciare nelle riserve le nazioni indigene. Un’eredità riconoscibile nella violenza ancora imperante, nella disuguaglianza sociale estrema, nel razzismo, nella la facilità con cui anche i ragazzi possono armarsi e compiere stragi degne della più dissoluta barbarie, altro che democrazia!

Ancora oggi si discute tanto sulle modalità della scoperta del nuovo mondo, sull’identità di Colombo, sulla falsificazione di molti documenti per ragion di stato.

Il Portogallo fu il primo stato europeo ad avere mire coloniali fuori dal Mediterraneo. Affacciato sull’Atlantico, chiuso dalla Spagna, trovò naturale spingersi verso l’Africa occidentale e le terre costiere dell’oceano indiano.

Il primo impulso venne dalla dinastia di Aviz (1385) che successe alla decaduta casa di Borgogna, ma anche tutta una serie di coincidenze favorì il Portogallo. L’espansione, almeno per i governanti, obbediva a ragioni di tipo commerciale. La strategia era quella di occupare territori poco abitati che venivano dati in feudo al comandante della nave che li scopriva.

Le terre occupate, considerate res nullius (terra di nessuno), appartenevano a chi le abitava, non vi era organizzazione statale, gli indigeni non avevano leggi scritte.

Veniva adottato lo stesso criterio degli spagnoli durante la Reconquista, le terre redente venivano concesse come diritto di conquista a chi le liberava e analogo principio fu applicato nei regni della corona riconosciuti dal papa. Chi si opponeva a questa legge veniva fatto schiavo e perdeva ogni diritto.

Quando si conquistava un territorio si procedeva ad organizzare le vilas dal punto di vista politico, ma anche religioso, l“evangelizzazione” era una missione imposta dalle bolle papali; la Guinea, ad esempio divenne cattolica (con quali mezzi? è lecito chiedersi).

Si era formata una popolazione di meticci in prevalenza di lingua portoghese che garantiva i contatti con i nativi dell’interno destinati alla schiavitù. Questa prevedeva anche il metodo della gradazione di colore, distinguendo tra neri, mori, moreni e via dicendo.

Le truppe portoghesi presero Ceuta nel 1415 con una poderosa squadra navale, agli ordini del re Giovanni I di Portogallo. L’avanzata fu portata avanti dal principe Enrico il Navigatore.

Nel 1434 il primo gruppo di schiavi venne portato a Lisbona, il loro commercio divenne presto l’affare più importante del Portogallo e riguardò intorno alla metà del Quattrocento principalmente Guinea, Senegal, Capo Verde, Sierra Leone.

Con le bolle Dum Diversas del 1452 e Romanus Pontifex del 1454, il papa Niccolò V (questa è bella! ma abbiamo già visto per il regno di Sardegna e Corsica) riconobbe al re portoghese il diritto ai territori conquistati in Africa e Asia e lo autorizzava ad attaccare, conquistare e soggiogare i Saraceni, i pagani e gli altri nemici della fede; a catturare i loro beni e le loro terre; a ridurre gli indigeni in schiavitù perpetua. Con la bolla Inter caetera, Callisto III (1456) sancì il diritto di cristianizzare i territori, di nominare vescovi e parroci.

Dopo il 1492, scoperto il “nuovo mondo”, Alessandro VI (Rodrigo Borgia) ritenne necessaria una revisione delle sfere di influenza di Spagna e Portogallo, emanò così diverse bolle, tra cui le due Inter Caetera del 3 e 4 maggio 1493, sulla navigazione, la sovranità sulle terre scoperte, i diritti sui sudditi. Egli spagnolo, favorì notevolmente la Spagna. In particolare nella seconda bolla tracciò una linea retta (raja) al largo di Capo Verde che collegava il Polo artico al Polo antartico e in qualche modo divideva la sfera d’influenza dei due stati, l’ovest del meridiano spettava alla Spagna e l’est al Portogallo, escluso di fatto in questo modo dalla conquista di terre nel nuovo mondo.

Per evitare una guerra tra i due stati cattolici si raggiunse un compromesso con il Trattato di Tordesillas del 7 giugno 1495, che modificava le delimitazioni autorizzate dal Papa, spostando la raja in modo che al Portogallo spettasse almeno la conquista del Brasile.

Tutto ciò naturalmente all’insaputa delle civiltà là insediate dei Maya, Aztechi e Incas, per citare le maggiori a noi note e candidate allo sterminio.

            Chi ne è capace si ponga nel loro tempo.

Uno studente ebbe un moto di disgusto verso la barbarie dimostrata dai colonizzatori e lo esplicitò; la prof fece presente forse in maniera troppo sbrigativa che si era a lezione di storia e non di etica. Tuttavia non condivisi. Se l’osservazione dello studente poteva apparire ingenua – le crudeltà di certe epoche storiche sono note – non per questo vanno giustificate per il fatto che siano accadute in tempi remoti. Sarebbe come se nel 2500 o nel 3000 si arrivasse a giustificare il nazifascismo. Se poi si fa attenzione, in tutte le epoche passate, antica, medievale, moderna, accanto alle crudeltà più efferate, c’è sempre stato chi le ha combattute e chi avrebbe voluto farlo, ma non ne ebbe il coraggio, la forza o gli strumenti. Ancora oggi prendiamo lezioni di morale dai filosofi greci e latini; Gesù Cristo è vissuto 2000 anni fa e ancora non abbiamo assimilato il suo messaggio di pace, carità e uguaglianza; Cesare Beccaria scriveva a metà settecento per l’abolizione della pena di morte e ancora oggi in stati che si ritengono esempio di democrazia persiste questa barbarie; la Rivoluzione francese è avvenuta nel settecento e abbiamo perso tanti dei suoi valori, registrando un regresso su molti aspetti…

Il problema della razza tuttavia non era molto sentito allora, i contatti erano stati molto rari prima. Il termine razza aveva un significato culturale, più che come è inteso oggi. D’altra parte ogni popolo si considerava migliore dell’altro, anche tra i bianchi vi era un certo odio.

Il mondo moderno considerava barbari coloro che non avevano leggi, consuetudini, ordinamenti simili ai propri. Musulmani ed ebrei in particolare, erano odiati per la loro religione, non per la razza, soprattutto perché conobbero il cristianesimo e lo rifiutarono. Quando i musulmani si convertivano veniva dato loro un nome cristiano. La conversione affrancava dalla schiavitù, rendeva “liberi”.

I neri, che non avevano conosciuto il cristianesimo, erano più tollerati. “Benché” fossero considerati una razza inferiore. Quando rifiutavano di convertirsi, diventavano schiavi, come accadeva ai prigionieri di guerra, che tuttavia erano considerati vinti, i neri no.

All’inizio del cinquecento dunque Spagna e Portogallo avevano il monopolio legale dei traffici con l’Occidente atlantico.

Per la Spagna l’operazione fu portata avanti da stinchi di santo come Cortes e Pizzarro, con patenti di spietatezza proverbiali; loro omologo portoghese era Pedro Álvares Cabral.

Il Brasile venne scoperto da questi nel 1500, e la colonizzazione vera e propria iniziò intorno al 1530. Benché all’inizio fosse considerato meno importante dei territori asiatici, il Brasile, divenne poi la colonia più importante dell’impero, dalla quale i portoghesi potevano esportare oro, gemme preziose, zucchero, caffè e altri prodotti agricoli e così si intensificò la tratta degli schiavi dalle colonie africane.

Tra il 1575 e il 1583 questo monopolio venne attaccato da inglesi e olandesi in una vera “guerra di corsa” (da cui i corsari, cioè coloro che agivano autorizzati da lettere di corsa emesse da governi nazionali) condotta nelle colonie da mercanti-pirati, che miravano a sottrarre alla Spagna il monopolio delle importazioni di metallo prezioso: il motto era “contro i papisti per Eldorado”, il paese dorato, la regione ricchissima di oro di cui si favoleggiava l’esistenza in America Latina.

Dal 1580 al 1640 il Portogallo cadde in mano agli Asburgo di Spagna, questi non si curavano delle colonie portoghesi facendo il gioco di Inghilterra e Olanda che in poco tempo ridussero notevolmente l’impero portoghese. Riuscì a salvarsi il Brasile e nel Pacifico Macao e Timor Est. Nel 1661 persero anche l’India, conservando solo piccole basi.

Dall’Europa iniziò la migrazione volontaria verso il Brasile che si popolò notevolmente e raggiunse l’indipendenza nel 1822 ad opera di Pedro I, principe portoghese.

L’attacco portato dai filibustieri può essere letto come l’inizio di una fase violentemente competitiva nel commercio a lunga distanza e gli olandesi invocavano la libertà di navigazione, il “mare liberum”. Un concetto molto amerikano: si è sempre molto liberali per ottenere le proprie libertà, prescindendo dal fatto che esse per altri siano causa di schiavitù, oppressione, tirannia.

(Storia moderna – 19.2.1997) MP

Commenti (3)

Adiante Pereira!
3 #
Anaïs de Lonval
anaisdelonval.blog.tiscali.it
nadiranais@tiscali.it
87.19.220.102
Inviato il 22/02/2013 alle 23:47
sempre molto nutriti questi interventi che mi fanno sentire molto ignorante… ma alla luce di quanto sta avvenendo in tempi odierni, in prossimità delle elezioni posso dire che la storia tende a ripetersi… non si ripete uguale a se stessa, certo, ma determinati fenomeni portano a delle conseguenze molto simili. Però noi umani abbiamo la memoria corta e forse anche uno spirito critico alquanto poverello: la storia non è un insieme di nozioni messe in ordine cronologico, la storia è anche etica, la storia è presa di coscienza dei fatti per non ripetere gli stessi errori e cambiare il corso di una determinata vicenda. Ma pochi lo capiscono. Forse anche io stessa stento a comprendere pienamente il valore della storia: bisognerebbe che noi tutti prendessimo periodicamente un libro di storia e ripassassimo la lezione, di tanto in tanto, per non dimenticare. Tu certo saresti un bravo Prof!

Adiante Pereira!
2 #
andreapac
andreapac.blog.tiscali.it
andreapac@tiscali.it
83.211.200.161
Inviato il 18/02/2013 alle 10:09
La figura del pastore che è sicurezza e appartenenza non ha nome è il pontefice di Roma.
Spero tu capiti in quel del Portogallo e allora tra Statue di Botero e monumenti a grandi conquistatori, esploratori e colonizzatori ripercorrerai tutto il tuo scrivere

Adiante Pereira!
1 #
andreapac
andreapac.blog.tiscali.it
andreapac@tiscali.it
213.198.142.7
Inviato il 25/01/2013 alle 21:22
Grazie del passaggio da me.
Ricambio.
bello sapere certe cose, apprenderle che esistono pure.
La matematica e le scienze mi prendono da quando avevo 11 anni e non le ho mai abbandonate, trascurando il resto ingiustamente, ma come fare …
Quanto è complesso il nostro mondo e si continua a sbagliare il verbo avere con quella benedetta H.

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