A LORO INSAPUTA…

Lezioni condivise 86 – Il lessico della pesca

28 Feb 2014 @ 11:59 PM

Qualcuno potrebbe pensare che io sia un pescatore incallito, visto che insisto a parlare di pesca, in realtà non ho mai pescato neppure un pesciolino, se non a mia insaputa, come usa oggi fare per qualsiasi pesca (di “onorevole” beneficienza); benché nelle verdi e turchine acque dei mari di Sardegna capiti di nuotare tra banchi di pesciolini, la canna da pesca mi è sconosciuta, le barche idem e per esaurire tutto il repertorio non pratico neppure la pesca subacquea, men che meno quella proibita con bombe e neppure quella volta che da bambino caddi non so come nella fontana dei pesci rossi, essi si salvarono tutti, mentre io subii i rimbrotti di mio nonno che dovette accompagnarmi a casa grondante acque…

La ragione è manco a dirlo scientifica, giacché la pesca, come altri tipi di attività (agricoltura, pastorizia, artigianato e via dicendo) si prestano ad avere un loro lessico o registro particolare, settoriale o, con la parola giusta, diafasico.

La settorializzazione della lingua è peraltro utilizzata negli atlanti linguistici, metodo cose-parole, anche per un confronto, soprattutto diatopico e diacronico, di espressioni delle stessa lingua che spesso presentano una particolare variabilità.

Voci del lessico della pesca:

Contatti tra lingua comune e mondo della pesca:

Le variazioni linguistiche nel tempo (diacronia) sono nel breve periodo (tempo apparente, opposto al tempo reale) impercettibili. A volte basta una generazione.

Facciamo alcuni esempi di variazioni tra generazioni contemporanee:

Parlare di tempo apparente ha senso perché i parlanti, per sfuggire agli italianismi, si rifugiano nuovamente nei termini antichi che non hanno più un vocabolo nella lingua moderna. In molti casi ora si ricorre a italianismi, infatti la parte più minacciata della lingua è quella tradizionale, tecnica.

Dalle voci suddette non ho scartato quelle che, anche in seguito a ulteriore ricerca, non mi sono ancora chiare e che ho indicato, per la ragione che qualche lettore potrebbe riconoscerle o in futuro io stesso, sia che si tratti di espressioni arcaiche, sia che io nell’apprenderle foneticamente le abbia trascritte in modo errato.

Ipotesi di ricerca sul campo sulla realtà linguistica:
E’ necessario stilare in primis un Piano di intervento per l’inchiesta sul campo.
Si procede in secondo luogo alla scelta degli informatori e alla formazione del campione di persone da intervistare, iniziando con qualche intervista di prova.
Si può quindi procedere con le interviste utili.
La fase successiva è la sistemazione ed elaborazione dei materiali:
• la trascrizione su schede dei materiali linguistici, etnografici, etnolinguistici, etnotesti
• la sistemazione materiali illustrativi (foto, schemi)
• la sistemazione di eventuali registrazioni
• l’elaborazione e l’analisi dei materiali
• il controllo finale e la presentazione dei risultati.

(Linguistica sarda  – 7.3.1997) MP

Commenti (2)

A loro insaputa…
2 #
zenaida wyselaskie
frenchkiss.it/collection.php
luciaf@gmail.com
198.23.247.231
Inviato il 21/03/2014 alle 18:38
One way we might see ourselves as suppressing our anger is transferring unresolved anger onto situations that maybe do not warrant it.

A loro insaputa…
1 #
vitty
vitty.n@tiscali.it
84.223.32.159
Inviato il 01/03/2014 alle 22:02
E’ un post molto bello che sono venuta a leggere più volte. Aspettavo il seguito… ma sei passato ad altro argomento.
Il tema della memoria è un argomento molto importante, che non bisogna relegare nelle cose del passato…guai! Il passato non va dimenticato, da Lui si dovrebbero imparare lezioni preziose affinché nessuno mai più debba venire perseguito,per motivi di odi razziali.
Eppure è sotto gli occhi di tutti quanto sta accadendo in Palestina. Il mio cuore sanguina nel sapere che ogni giorno vengono uccisi uomini,ragazzi,bambini, donne. Solo perchè Palestinesi. Gli hanno tolto l’acqua,terreni,case. E nessuna voce occidentale si è alzata in loro difesa. Se qualcuno osa viene subito tacciato per antisemita. In questo caso dovremmo si gridare di più!!!! Io non sono antisemita,ma questa è una grandissima ingiustizia che non riesco a comprendere. Non riesco a comprendere perchè un popolo che ha tanto sofferto,debba a sua volta infliggere le stesse sofferenze.
Ho letto un libro che mi ha spiegato cosa voglia dire essere palestinese. Forse lo conoscerai.E’ una storia vera.Ti lascio il titolo:
Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa
edito feltrinelli.
Ciao Indian, Ti torru gratzias per le tue belle lezioni! 🙂

DIALEKT 11: NON DESIDERARE LA LINGUA D’ALTRI

Lezioni condivise 68Biologia della lingua

31 Ago 2012 @ 11:55 PM

Sono ignorante… Nessuno è esente da un po’ di ignoranza. Anche questo termine, tuttavia, come tanti altri, rischia di essere ambiguo, diversamente interpretabile, offensivo, ingiurioso o semplicemente utile per argomentare un pensiero.

Questo esordio è necessario per affermare, senza che vi siano equivoci, che non ho alcun pregiudizio di sorta nei confronti di chi è carente di informazione, cultura, scienza… di sapere insomma; questa condizione è spesso involontaria, a volte è addirittura una colpa della società, o semplicemente frutto di incapacità o indolenza.

Ma ci sono alcune categorie di ignoranti, e questa volta do alla parola un senso davvero insultante, che sono da disprezzare totalmente.

La prima, in verità, è più ridicola che altro, ma fastidiosa: si tratta di chi non sa, si atteggia a sapiente e blatera assurde insulsaggini che è inutile contraddire; c’è poi chi sa davvero, ma approfitta di questa sua condizione, si sente superiore a chiunque, frappone fra se e gli altri barriere, ostenta il suo sapere in modo disgustoso; ma a mio avviso c’è una categoria ancora più insopportabile delle due citate ed è quella che con buona approssimazione potrei definire dei saccenti, dico così perché un minimo sfoggio di saccenteria può entro certi limiti essere un peccato veniale, ma io mi riferisco a chi, benché colto, si convince di sapere ciò che non sa e sputa sentenze in proposito anche con chi quella competenza la ha davvero, ma in più ha anche una buona dose di umiltà, qualità del tutto assente in quel genere di ignoranti.

Le categorie anzidette e l’ultima in particolare, le si può incrociare intorno a qualsiasi tipo di argomento serio o effimero, a me è capitato ad esempio, neanche troppo sporadicamente sul tema della lezione di oggi, la linguistica, lo studio e l’uso della lingua.

Senza aver paura di incorrere nell’insulto trattato sopra, dobbiamo tuttavia prestare attenzione e cautela quando ci apprestiamo a correggere qualcuno per qualcosa di detto o anche di scritto. A parte i modi, è importante avere contezza della materia su cui andiamo a interferire, perché è vero che molti di noi sono stati istruiti basilarmente da chi non sapeva neppure dove sta di casa la linguistica e la ricerca. Con questo non voglio dire che non sia utile correggere; a volte nel linguaggio standard possono farsi degli errori macroscopici che saltano all’occhio solo dopo alcune riletture, dei più banali non se ne parla neppure.

Nell’affrontare il complesso mondo di una lingua è bene dunque sapere di che si parla – ora mi verrebbe subito voglia di citare l’errore macroscopico apparso in una sentenza della Corte di cassazione, che ha visto l’ispiratore o l’estensore (non si sa), senza averne competenza (lo si capisce dal risultato) mettersi a discettare di lingue e dialetti, ma non lo faccio per non trascendere, conscio tuttavia che trattasi del terzo caso –, conoscere di registri linguistici, gerghi, varietà sociali, dialetti e via discorrendo, ma anche di storia e – come dire – di biologia della lingua.

La tipologia delle varianti linguistiche è solitamente prerogativa di precise categorie, pertanto si tratta di varietà sociali della lingua (diastratia).

La nobiltà cagliaritana parlava in sardo nella variante cittadina, in funzione antiborghese. La borghesia già a metà Ottocento si era italianizzata. In questo caso il cagliaritano fungeva da connotazione sociale. Lo stesso accadeva ad esempio a Venezia.

Una varietà diastratica è l’italiano popolare (da non confondere con l’italiano regionale, avendo questo caratteristiche diatopiche che prescindono dalla classe sociale: l’italiano regionale divide, l’italiano popolare accomuna), relativo alla popolazione che ha più familiarità con le lingue o dialetti locali, anche indirettamente. Questo fenomeno si presenta soprattutto nell’oralità, nei tratti fonetici, nei raddoppi, o a seconda dei territori, nelle lenizioni, o nel ricorso a suoni blesi.

Questa varietà (secondo Michele Cortelazzo dell’università di Padova) è riferibile a situazioni di carenti cultura e scolarizzazione, per cui non si accede ai contesti formali della lingua standard, avendo scarsa confidenza con essa, anche per minori opportunità di usarla; si tratta di parlanti costretti a inventarsi una competenza linguistica che non hanno per ragioni diverse.

Dal canto suo Tullio De Mauro faceva risalire l’italiano popolare a ragioni politiche: guerre, lotte sindacali, emigrazione a nord, e considerava positivamente questa variante, quale conseguente sviluppo naturale della lingua dal basso, non imposta.

Vi sono in proposito autobiografie (museo etnografico del Friuli), lettere (studioso Leo Kreutzer), dove è attestata una forte devianza dalla norma e viene documentato anche un livello scritto, usato nei casi di necessità, non trattandosi di lingua usata solitamente (sostituita dal dialetto).

Un documento importante in proposito è senza dubbio il libro “Dai bressaglieri alla fantaria” di Ines Loi Corvetto.

Principali caratteristiche adottate dai parlanti l’italiano popolare rispetto allo standard:
– Non distinguono tra articolo e sostantivo (concrezione dell’articolo). Esempi: ninferno (un inferno), loppio (l’oppio).
– Sincrezione dell’articolo: l’avello per lavello.
– Pleonasmo: eccesso, ripetizioni. Esempi: ma però, senza il suo consenso della giovane donna, a me mi, ci rimase qui, ti spedisco a te i soldi.
– Prevalenza del pronome relativo (che per “a cui”, “di cui”). Esempio: fui comandato di portare una busta che non so il contenuto.
– Uso di lessemi popolari: cecchino (spara anche quando non c’è combattimento, di nascosto), magna franchi, figli di mammà.
– Storpiatura parole (tecniche ecc.): carta dindindirità, carabinieere con la e lunga (affettivo);
– Concordanza: le cose facile, coppia molto gentili;
– Uso improprio di avere: non ho arrivato a capire.
– Nel ligure: “mi saluti…” – “padena” (padrina) – “padeno” (padrino).
A titolo esemplificativo, alcune tipologie della sociolinguistica:
Sottocodici funzionali:
– situazionale (si tratta della produzione di un messaggio linguistico in una determinata situazione), ad esempio relativo alla cultura materiale nella descrizione di un definito lavoro.
– tecnico: (tra colleghi) “il paziente è affetto da una sindrome ipertensiva”.
variante non tecnica: “il poveretto ha un attacco di pressione alta”.
Il contesto cambia la scelta dei tipi lessicali.
Sottocodici linguistici:
– cacuminale (la produzione di un suono in relazione alla posizione della lingua rispetto al palato).
Registro linguistico:
riguarda la scelta della varietà linguistica adottata in base al rapporto tra i locutori, per ragioni psicologiche, sociali, circostanziali o riguardo al mezzo impiegato.
Può essere relativo a situazioni funzionali e/o contestuali e può essere di varie tipologie:
1. a) elevato: “potrebbe spegnere la radio, per favore”, “il bimbo (registro più elevato di “bambino”) si è assopito.
2. b) basso: “spegni la radio”, “non vedi che il bambino sta dormendo”.
E’ il caso di fare un breve riepilogo delle principali variabili sociolingiustiche:
variabile diatopica, la lingua che muta nello spazio geografico;
diacronica, in rapporto al tempo storico;
diastratica, relativa alla condizione sociale dei parlanti;
diamesica, in rapporto al mezzo usato per esprimersi (scritto, parlato…);
diafasica, in rapporto alla situazione (ufficiale, familiare…).

Mi rendo conto della frammentarietà e tortuosità dell’esposizione, ma basti a rendere idea della complessità della materia.

(Linguistica sarda – 5.2.1997) MP

Commenti (4)

Dialekt 11: non desiderare la lingua d’altri
4 #
maryroth
writethroughthenight.wordpress.com/
Maryroth@gmail.com
206.214.82.137
Inviato il 27/11/2012 alle 13:05
I merely viewed one thing concerning this on tv

Dialekt 11: non desiderare la lingua d’altri
3 #
indian
massimo.pistis@tiscali.it
2.35.140.219
Inviato il 02/09/2012 alle 13:11
@giulia
Ego te absolvo… 🙂 (ho appena visto “L’ultimo inquisitore” di Forman)

Dialekt 11: non desiderare la lingua d’altri
2 #
giulia
chidicedonna.myblog.it
g@alice.it
82.50.161.84
Inviato il 01/09/2012 alle 20:39
Urka, che arrabbiato!
Ti prego, non farmi alcun sermone se trovi qualche errore nei miei scritti.
Perdono, chiedo venia, m’inginocchio, sarò precisa e puntuale per tutta la vita! E tutto in maniera preventiva onde evitare questi tuoi strali.

Dialekt 11: non desiderare la lingua d’altri
1 #
Democrazia Oggi – Palabanda
http://www.democraziaoggi.it
62.149.141.26
Inviato il 28/08/2012 alle 05:03
https://diaryofboard2.home.blog/2020/05/05/chiamala-se-vuoi-emozione/

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