GEROGLIFICI DIVERSI

Lezioni condivise 106 – Antidramma e altre storie

 30 novembre 2015 @ 18,30

Ieri notte (quale notte? la stesura di questo pezzo ha visto tante notti) avevo iniziato a guardare il film Muse (La settima musa) di Jaume Balagueró; l’inizio sembrava interessante, poi una scena altamente drammatica lo trasforma in film horror… Senza grandi ripensamenti ho interrotto la visione.

Dovrei parlare appunto di dramma, anzi di antidramma; cosa non è dramma se non la storia di una ragazza che ha una relazione segreta con il prof di Letteratura e dopo averci fatto l’amore, fattolo giurare di amarla in eterno, si fa trovare esangue nella sua vasca da bagno? O è antidramma?

Il dubbio può sorgere perché in senso teatrale i due concetti non sono esattamente opposti, come apparirebbe evidente sotto il profilo linguistico, espressivo, insomma non è come la dicotomia tra horror e commedia.

Del dramma come drammatizzazione ho già trattato ampiamente nelle lezioni 67 e 74.

L’antidramma fa parte del genere, soprattutto teatrale, “drammatico” (contemporaneo), ma si oppone al dramma perché ne nega gli atteggiamenti, la finzione, l’illusione, per assumere una realtà verosimile e la negazione dei valori stabiliti. Adotta il surreale e non i tipici “colpi di teatro”, abbandona la causalità per l’illogicità, introduce l’antieroe, l’eloquenza, il gioco di parole, l’assurdo, le ripetizioni, il grottesco, è imprevedibile.

Negli anni Sessanta del secolo scorso, si comincia a parlare di “nuova scrittura”, dove la parola è segno, non solo immagine astratta della cosiddetta “poesia concreta”. Si tende ad esaltare la manualità, materialità, iconicità della scrittura, fino al disegno e alla pittura, alla nascita della poesia tecnologico-visiva. Gli artisti che vi si esprimono talvolta neppure usano la parola scritta, ma solo il segno e/o il disegno, sono tradizionalmente pittori e poeti o entrambe le cose. Tra gli altri cito Paolo Albani, Mirella Bentivoglio, Irma Blank, Ketty La Rocca, Betty Danon, Lamberto Pienotti, Patrizia Vicinelli; tante donne. Si entra nel terreno della semiotica, lo studio dei segni.

Anche nel teatro il Novecento ha accolto delle avanguardie, accantonando i generi epico, drammatico, melodrammatico in quanto tali, per accogliere le opere di Henrik Ibsen, Bertold Brecht, Pirandello (antesignani dell’antidramma).

Del resto, il testo antitragico esiste fin dai tempi di Platone che lo attuò clamorosamente nel suo “Apologia di Socrate”, dove il filosofo, condannato a morte, chiede di andare in bagno a lavarsi per evitarne l’incombenza a chi avrebbe dovuto provvedervi dopo l’esecuzione: è fino in fondo padrone di se stesso.

Per la comprensione del nuovo teatro occorre intendere il suo conflitto con il dramma e dunque separarlo da esso, ovvero distinguere tra teatro drammatico e postdrammatico, non in relazione al testo, ma al comportamento espressivo. Il testo, quando c’è, è una delle tante componenti del nuovo teatro. Vi è stato un processo storico del teatro, da quando il testo non era presente, ma era solo rito, mimesi, danza. Con l’avvento del testo, esso prese il dominio su tutto, compresa l’azione scenica, che in realtà è il teatro. Il teatro era fuso nel testo, nel dramma.

Il teatro postdrammatico nasce alla fine del XX secolo, con un percorso preceduto da avanguardie (XIX sec.) e neoavanguardie (anni Sessanta e Settanta). Come già osservò Walter Benjamin, a proposito de “Le Affinità elettive” di Goethe, non è il linguaggio, ma il superamento del medesimo, la rappresentazione, che è vero “dramma” (nel senso di teatro, agone, pantomima). Il dramma secondo la sua definizione storica comincia ad entrare in crisi alla fine dell’Ottocento. Ma per poter intravedere un teatro postdrammatico si deve attendere Brecht, non solo testo, ma una sorta di regia.

Heiner Müller ha dichiarato addirittura che “un testo teatrale è valido solo se per il teatro già esistente è impossibile da mettere in scena”. Così si arriva a definire l’incompatibilità tra teatro e dramma. Edward Gordon Craig ne “L’arte del teatro”, sostiene che Shakespeare non dovrebbe essere messo in scena, e quando lui stesso lo fece, dichiarò di avere avuto la conferma dell’irrappresentabilità, in quel caso, di “Amleto”, ovvero la letteratura teatrale è una cosa, il teatro un’altra. In un testo, vi sono elementi come la poesia e altre qualità, che non devono trovare spazio in una rappresentazione teatrale.

All’inizio del Novecento si hanno precursori in Gertrude Stein, Robert Wilson, Antonin Artaud, Stanislaw Ignacy Witkiewicz, con forme testuali essenziali, decostruite. E’ solo l’inizio, ma l’avvento del Cinema pone al teatro nuovi problemi, definirsi come arte specifica, e la sua specificità è la presenza sul palcoscenico. Il teatro di regia è un altro passo verso il teatro postdrammatico. Possiamo indicare qui oltre a Craig, altri come Cechov e Stanislavskij, Claudel e Copeau.

Con la neoavanguardia si comincia a intravedere il teatro postdrammatico, ne sono anticipatori John Cage, Merce Cunningham, Allan Kaprow, poi Beckett, Ionesco, Sartre e Camus. Si stabiliscono varie connessioni tra teatro dell’assurdo e filosofia, esistenzialismo, surrealismo, espressionismo astratto, provocazione e protesta, che coinvolge tutte le arti. Ne sono principali esponenti Kafka, Peter Weiss, Konrad Swinarski e Peter Brook e siamo gia a metà anni Sessanta. In questi anni si afferma un nuovo spirito sperimentale che culmina nel movimento del Sessantotto. E’ attiva soprattutto la Germania, dove nasce Experimenta, lo stile di Brema di Kurt Hübnerssi, con Peter Zadek, Wilfred Minks e Peter Stein. Negli USA nasce un movimento pluriartistico, si mette in luce Christo che imballa i momumenti, Yves Klein con le Anthropometries e a Vienna Richard Schechner che mette in scena “Dionysius 69”, dove gli spettatori interagiscono con gli attori, in rappresentazioni in cui prevale l’absence de sens, il comico o grottesco, la commedia (Fritsch, Dürrenmatt, Hildesheimer), rappresentati nel cinema da “Il dottor Stanamore” di Stanley Kubrick. Esslin usa le stesse modalità per esprimere l’ansia metafisica dell’assurdità dell’esistenza umana.

Eppure il teatro continua a rimanere agganciato al dramma (Ionesco, Adamove), il testo resta preponderante anche con tutte le innovazioni.

Negli anni Ottanta e Novanta si assiste ad una sorta di confusione tra tradizione e postdramma. Il distinguo appare sottile per i non addetti ai lavori: la questione centrale non è più la corrispondenza tra teatro e testo (parola, significato, suono, gesto), ma trovare dei testi utili, adeguati, per un progetto teatrale che si basi su performance, impulsi, frammenti, per una nuova espressione indipendente dal testo.

Per comptendere il teatro postdrammatico occorre aver presenti le avanguardie storiche che lo hanno precorso, come l’antagonismo teatrale, il simbolismo (avanguardia ermetica), poi con futurismo, dada e surrealismo, e l’uso dei piccoli teatri, delle cantine. La scena simbolista era staticità antidrammatica, monologante. Stéphane Mallarmé ideò un Amleto con un solo attore, dove gli altri erano esclusivamente comparse. Paul Claudel ha sostenuto: “Il dramma è qualcosa che arriva, il teatro No qualcuno che arriva”. Maeterlinck e Mallarmé, poi Wilson, presero spunto dal teatro NO, quale rito, cerimonia, fato. In questo senso anche una sacra rappresentazione assumerebbe un aspetto scenico antidrammatico. Hanno preso questa linea anche Tadeusz Kantor con oggetti animati, Heiner Müller con i fantasmi, e Monique Borie.

Come dunque si differenzia il dramma dall’antidramma?
– al posto della trama e dell’azione, l’apparizione;
– al posto della rappresentazione, la performance.

Termina la fusione di testo e scena e si apre alla connessione con la poesia scenica, senza testo. Questa nuova poetica, a partire dal dramma lirico e simbolista, si connota come prima drammaturgia antiaristotelica (Bayerdörfer), già anticipata da Eschilo e da tutto il teatro che non si rifaceva alle prescrizioni aristoteliche (monodrammi, duodrammi e i melodrammi del diciottesimo secolo, ridotti a un’unica scena). E’ esemplare in proposito “La gardienne” di Henri de Régnier (1892). Il poema veniva letto da attori non visibili al pubblico, mentre sul palco, dietro un velo aveva luogo l’azione in forma di pantomima. Separazione tra azione e parola, ma era la rinuncia alla rappresentazione della realtà.

Le prime avanguardie del Novecento consapevolmente o meno usarono vari espedienti per superare il dramma, più che altro con la provocazione del pubblico, con il non sense, poi con la velocità, la musica, numeri di varietà e il cabaret. L’opera della Steine fu ripresa da molti gruppi d’avanguardia degli anni 60 e 70, per la sua forma pura…, ma lontana dalla realtà. L’espressionismo sebbene non sia avanguardia, ha degli elementi che la condizionano, come la predilezione per le forme di monologo e del coro… Analogamente ha inciso sul nuovo teatro il surrealismo con la sua provocazione e le sue immagini magiche. Ribadiamo dunque: il teatro postdrammatico è soprattutto rito, voce, scena, non necessariamente e strettamente azione.

Il concetto di segno teatrale deve comprendere tutte le dimensioni del significato, non soltanto i segni che portano informazioni determinabili, cioè significanti che denotano un significato identificabile o lo connotano come evidente, ma virtualmente tutti gli elementi del teatro. Una fisicità notevole, uno stile gestuale, un’organizzazione spaziale, senza significare, ma solo per il fatto di essere presentati con una certa forza, pur senza essere fissati concettualmente, vengono percepiti come manifestazioni o gesticolazioni che richiamano l’attenzione e hanno senso grazie all’effetto di aumento creato dal contesto della performance.

Il sogno è il modello per eccellenza dell’estetica teatrale, un’eredità del surrealismo. Artaud, che lo aveva previsto, parla di geroglifici per sottolineare lo status dei segni teatrali tra alfabeto e immagine, tra differenti affetti e significazioni. Anche Freud usa il paragone con i geroglifici per caratterizzare la tipologia dei segni che il sogno offre all’interpretazione. Si tratta di invenzioni, trovate poetico-letterarie, dunque disegni metaforici che rimandano a concetti o acrostici. D’altra parte per geroglifico non s’intende solo l’antica scrittura egizia, ma l’arte dei segni che si esprime in poesia, pittura e in pseudo enigmi… Una sorta di linguistica dei segni, la stessa enigmistica.

È stata stabilita una differenziazione tra i diversi livelli della rappresentazione teatrale: testo linguistico, testo della messinscena e performance text. Il tutto è indeterminato e potenziale rispetto al testo tradizionale, anzi funge da “dosaggio” dei differenti aspetti della performance. Si tratta di un modo di utilizzo dei segni a teatro, che rimescola da cima a fondo i livelli teatrali attraverso una qualità strutturalmente modificata del performance text: con più presenza che rappresentazione, più condivisione che comunicazione, più processo che risultato, più manifestazione che significato, più energia che informazione.

Lo stile o meglio la tavolozza stilistica postdrammatica, mette in rilievo i seguenti tratti caratteristici: sinestesia (accostamento di parole appartenenti a sfere sensoriali diverse) paratassi (periodo fondato prevalentemente su un criterio di coordinazione – che prevede la congiunzione), simultaneità, gioco con la densità segnica, musicalizzazione, drammaturgia visiva, fisicità, irruzione del reale, situazione/evento. La paratassi, indica una assenza di gerarchia nell’espressione e dei mezzi teatrali in generale; ogni mezzo, ogni aspetto del teatro ha la sua autonoma forza che insieme al resto crea azione congiunta che costituisce l’opera, senza gerarchie. Ovvero gli spazi, le luci, gli arredi, hanno la stessa peculiarità della parola, della dizione, del movimento scenico. La paratassi dà luogo alla simultaneità dei segni posti all’attenzione dello spettatore che non sempre li percepisce tutti. Ciò non deve apparire come una mancanza, ma come una libertà, un’alternativa al puro caos, perché apre al destinatario la possibilità di elaborare ciò che è simultaneo, operando una selezione e una propria strutturazione contro la “smania di comprensione” (Jochen Horisch). La sovrabbondanza di elementi scenici non è ancora vista come fatto positivo o negativo. Anche la musicalizzazione è vista come un nuovo elemento da definire, vi sono pareri discordi, chi la vede come struttura autonoma del teatro (Helene Varopoulou), un altro tipo di teatro, mentre Meredith Monk sostiene sia stato il teatro a portare alla musica. In realtà la musicalizzazione è oggi un elemento del teatro dalla pop alla sperimentale e accompagna spesso tutto lo spettacolo.

La scenografia come drammaturgia visiva, come la musica ha acquisito nel teatro postdrammatico, a tratti, un’importanza predominante, da riportare nell’ambito della paratassi. Nel nuovo teatro sono elementi difficili da accettare, per un pubblico abituato all’umanità (presenza preponderante umana) nella rappresentazione, le eccessive situazioni di caldo e freddo. La corporeità, la presenza del corpo che era nel teatro drammatico primaria, necessita nel teatro antidrammatico di una molteplicità di nuovi ruoli, anche più provocatori o drammatici, in forma di danza, ritmo, grazia, forza, cinetica, disabilità… rigidità, ostentazione, sudore. Si tratta di un teatro concreto che espone se stesso, senza preoccuparsi di creare contenuti o emozioni, ridicolo o noioso, visione fine a se stessa, di una percettibilità fittizia. E’ l’uscita dalla rappresentazione per irrompere nella realtà, comunemente con il coinvolgimento del pubblico presente, rivolgendogli la parola o provocandolo (sempre esistito nel teatro, ma accentuato). Nell’antidramma il ritorno alla realtà è fatto di trovate provocatorie che lasciano il dubbio allo spettatore se siano reali o parte dello spettacolo, della scrittura, come interrompere l’azione per bere un thé o spazzare il palco. Questo comporta che lo spettatore reagisca a quanto accade sul palco come se si trattasse della realtà. Ad esempio a scene di tortura reagirà disapprovando come se assistesse a una tortura reale, e così via.

Nel teatro postdrammatico negli anni 60 e 70 con vari gruppi teatrali cominciò a diffondersi quello che era stato l’happening (accadimento) sotto il profilo sociale e politico; a livello di teatro si trattava di inventare delle situazioni, delle provocazioni (fenomeno evoluto nell’uomo sandwich o in qualche tipo di flash mob). Questo genere di espressione è legato al situazionismo, movimento filosofico-sociologico ed artistico marxista libertario, con radici nelle avanguardie artistiche d’inizio Novecento, come il dada, il surrealismo e il costruttivismo russo, e nel pensiero politico del comunismo di sinistra, in particolar modo consiliarista e luxemburghista-spartachista, anarchico o ad alcune delle idee del pensiero di Max Stirner e Sartre: il loro interesse era costruire situazioni. Il situazionismo è stato creatore di fenomeni come l’autoriflessione, l’autoindagine, l’autocoscienza.

Il teatro antidrammatico si pone dunque come illusione del reale che ogni spettatore percepisce in modo diverso dall’altro, creandosi le sue emozioni e la sua percezione di teatro.

(Storia del teatro e dello spettacolo – 30.4.1997) MP

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ALICE IN WONDERLAND

Lezioni condivise 3 – Lingua artificiale per stato artificiale.

31 ottobre 2006

Riflettiamo insieme su quante cose si possono fare con la lingua, forse è la prima volta che lo faccio anch’io in modo così universale, un po’ mi sorprendo e per quanto pensi, sono certo che mi sfuggirà comunque qualcosa. La lingua si può anche mordere, mostrare, serve per fischiare, gustare, leccare (e qui ci si può sbizzarrire con gli iponimi… comprenda chi vuole…)…ma soprattutto, la lingua è spesso un organo socievole nei confronti delle sue simili, piuttosto selettiva o a volte selezionata.

Un tempo le lingue le tagliavano pure, nel vero senso della parola, tant’è che l’espressione sopravvive come modo di dire (per fortuna desemantizzato) che certe madri usano come monito per i figli sproloquianti.

Anche il sardo è una lingua tagliata, ma si tratta di altra lingua e altro taglio (non siamo nel campo degli stupefacenti, né delle pratiche bestiali), parliamo di un idioma e della sua corruzione nel tempo, a causa di una lunga serie di dominazioni straniere.

Ma torniamo al nostro caro organo, senza il quale non ci sarebbe alcun idioma, ad eccezione di eventuali linguaggi strettamente gutturali o ventriloqui.

Sfuggendomi al momento la lingua di Adamo ed Eva, accontentiamoci di partire dal latino, e non è poco, visto che si incammina verso i tremila anni e sopravvive nelle nostre lingue materne.

Voglio essere banale e partire dall’analisi del sistema vocalico, nella consueta rappresentazione triangolare, basata sulla posizione della lingua (anteriore/posteriore) e della mascella (alto/basso) o della bocca (aperto/chiuso): 

ˉ   = suono lungo;  ˘ = suono breve

Per completare diciamo che tra i – e ed u – o, vi è lo spazio fonetico comune.

u ed o sono i suoni più difficili da pronunciare.

Una vocale è udibile quanto più la sua fonazione è lunga ed è tanto più udibile quanto il suono è aperto/basso (a). I suoni meno udibili sono dunque ĭ ed ŭ (suoni brevi e chiusi).

E’ bene ribadire che la dicotomia alto/basso, è relativa al movimento della mascella e non ha niente a che vedere con l’altezza, quale caratteristica di una voce o di un suono (basso/acuto).

Nelle lingue moderne vi è stata la tendenza a chiudere i dittonghi antichi. Ad esempio eu ha assunto l’esito di , ovvero e chiusa. Il dittongo au, ultimo a chiudersi, tende a farlo in o: ausir = udire; lauru = alloro (nel sardo); causa = cosa (nel sardo, romagnolo; si conserva invece nel rumeno).

Questo perché nelle lingue neolatine si assiste alla fusione in un’unica vocale della ĭ con la ē, nonché della ō con la ŭ latine (con esiti rispettivi di ed ).

(vedi anche http://www.latinovivo.com/curiosita/parole.htm)

Con il passaggio dal latino ai vari volgari vi è stata anche la perdita della quantità, che caratterizzava quella lingua, distinguendo tra vocali lunghe e brevi.

A cosa è dovuta questa perdita? La probabile causa è addebitabile all’espansione del latino lontano da Roma; dunque al contatto del latino con lingue che non avevano il senso della quantità (cioè il rafforzamento espressivo) e avevano difficoltà a riprodurla. Sant’Agostino, ad esempio, sosteneva che le orecchie africane non riuscivano a distinguere tra vocali lunghe e brevi.

Il sistema fonologico latino combina quattro consecuzioni:

vocale breve – consonante breve                     es. gŭla

vocale breve – consonante lunga                     es. gŭtta

vocale lunga – consonante breve                     es. sōlus

vocale lunga – consonante lunga                     es. stēlla   (poi nel tardo latino: stĕlla)

La consecuzione arcaica lunga – lunga con il passare del tempo tende a sparire, per cui si avrà in seguito stĕlla, come *meccum diventa mecum (da mēd+cum); missi diventa misi (da mīt+si), ma da cūpa (nuca), attraverso vari apparentamenti con altre lingue si passa a cŭppa (coppa), l’eccezione che conferma la regola? La domanda è d’obbligo, come dirò in chiusura…

La lunghezza (ciò che noi oggi rendiamo volgarmente con l’espressione doppia) consentiva al latino di distinguere tra due parole, che oggi nel volgare, spariti quegli esisti confondiamo (fāta o făta? Possiamo incontrare chi sostiene che fata derivi da fautuoe [compagna del fauno] o da fatum [destino].

Nel latino più tardo prende il sopravvento la vocale (doppia o scempia), distinta da ciò che noi oggi chiamiamo accento.

Totum (contatto rafforzativo) = tutto

Bruto = brutto

Bucca = bocca

Maccu = matto

La doppia italiana proviene dunque dalla lunghezza latina, ovvero dal valore linguistico latino di quantità.

Condiviso ciò, sperando che il vostro sonno sia lieve e vigile, adeguato ad un insegnamento ipnopedico, vorrei farvi riflettere sull’importanza delle lingue e in primo luogo della lingua materna. Considerato che il mio pubblico è prevalentemente “italiano”, peraltro lingua nella quale mi sto esprimendo, vorrei ricordare che l’italiano (dialetto fiorentino) è rispettabile come tutti i dialetti, ovvero le tante lingue materne da tutelare, perché conservano un inestimabile tesoro dialettologico e storico.

Ricorderei telegraficamente, che il Manzoni, su incarico savoiardo, volle estendere il fiorentino a tutto il neo stato italiano e che quel dialetto era conosciuto allora da meno del 2% della popolazione. Lingua artificiale per stato artificiale.

Lo contrastò Graziadio Isaia Ascoli, glottologo, ritenendo che fosse più giusto che si formasse una koinè in modo naturale, mantenendo le diverse parlate locali, salvo tutelare le vere e proprie lingue presenti.

La ricetta Manzoni ha funzionato grazie a tappe forzate e al grande sponsor che ne fu il fascismo. Oggi, graziadio, assistiamo al suo fallimento… mettete a parlare un veneto e un calabrese medi o un lombardo e un napoletano, per avere la controprova. Quanto alle lingue minoritarie, lo stato le ha dovute riconoscere, sebbene dopo oltre mezzo secolo dalla Costituzione, che lo imponeva.

Tornando alla domanda d’obbligo lasciata in sospeso più sopra, siccome ogni studioso può dimostrare tutto e il contrario di tutto, abbandonatevi pure a un sonno nichilista e sognate che tutto ciò non esista e siamo tutti Alice in wonderland o Pinocchio nel paese dei balocchi.

 (filologia romanza – 15.12.1995) MP

poēsie = poeesie = poésie

Riferimenti: poēsie = poeesie = poésie

Commenti (35 +2)

37.scrive:

23 Luglio 2008 alle 23:22

M., non ho molto tempo, compiti da correggere e riunione…ti passo i codici per cambiare solo il font:
font face=”carattere della scrittura” color=nome in inglese del colore
size=”da 1 a 10″> INSERISCI IL TESTO
Attenzione:In CARATTERE SCRITTURA inserisci il nome del carattere tipo monotype corsiva o gotica. E’ a tua scelta.
In NOME IN INGLESE inserisci il nome del colore in lingua inglese.
In DA 1 A 10 indica la grandezza della scrittura ti consiglio la 3 o la 4.
Poi ancora se vuoi scrivere una parola depennata è molto semplice prima e
dopo la parola inserisce questo codice:
parola
e il gioco è fatto. Ciao bacio, Sà

ALICE in wonderland
36 #
verdana marten
84.222.222.204
Inviato il 23/07/2008 alle 19:38
infatti con font non cambi la testata cambi il carattere e il formato del’articolo. Può lasciare Times e aumentare la size certamente. Sui commenti invece non si può intervenire, Forse un consiglio potrebbe dartelo fruscio. Il suo blog e 1fruscio.blog.tiscali.it. Se gli scrivi spiegando che vorresti solo che i commenti fossero più grandi magari ti dà una dritta.
Oppure lo sa danydonna. Il suo blog è playyy.blog.tiscali.it
Ciao.

35. verdanascrive:

23 Luglio 2008 alle 19:21

Te li mando io i codice per cambiare i font! Ma potevi pure chiedermelo no?

prima di iniziare il corpo del tuo testo scrivi questo codice il font face è lo stile, Tiscali ne accetta pochi devi provarli in anteprima per vedere se te lo ha preso, di solito accetta appunto Georgia,Tahoma, Black Chancery. Comic Sans MS, Monotype corsiva> size= è la grandezza del carattere da 2 che è molto piccolo fino a 10 12 ma sono enormi! color= è il colore scrivilo in inglese o cerca le tabelle numeriche, meglio in inglese, anche qwui alcuni colori non li prende.> Che ce voleva! Un bacio assassino. Il coniglio tace. Lo faccio in umido?

ALICE in wonderland
34 # bibi
88.63.27.74
Inviato il 23/07/2008 alle 13:55
Complimenti per il tuo blog… Ho visto che hai scritto in sardo sul mio e mi sono incuriosita 🙂

33. gioscrive:

30 Novembre 2006 alle 08:52

Ciao Angel
sono un pò impegnata a scuola… benché sia l’ultimo anno… e passo pochissimo a salutare gli amici…
durante le vicine vacanze mi farò viva.
Ciao

32. jovellyscrive:

29 Novembre 2006 alle 19:33

ooooo finalmente sono riuscita ad aprire la tua pagg…connessione di cacca!
molto bella la tua dissertazione sulla LIMBA
io nelle tue zone ci scendo forse lunedì…x un convegno sugli scioperi dei giornalai…come avrai sentito…casini..
oppure non lo so!
caro…a presto! fammi sapere se hai msn!
:******************

31. federico2005scrive:

29 Novembre 2006 alle 14:48

ei ciaooo!!
dei ffilm che mi citi non ne ho visto ancora uno,ma la trilogia sarà una mia futura visione!!
un abbraccio sinceroooo!

30. Jean Harlowscrive:

29 Novembre 2006 alle 12:40

Ciao Angel caro…come stai?
Io sveglia da un oretta e mezza, dopo un pò di disegni mi metto qua e scrivo un pò…poi doccina , trucco, scelta dell’abito…e università.
Sai, credo che se ti avessi messo fra le cose che amo saresti gia mio marito (come puoi notare non ho citato nemmeno Dave… non ve lo meritate voi…)

un bacio grande J.

29. verdanascrive:

29 Novembre 2006 alle 08:35

HAI POSTA ANGIOLETTO!

28. fiorescrive:

29 Novembre 2006 alle 00:04

da quali lontananze, da quali abissi oceanici riemergi? Da quali iperuranei arrivi planando?

27. falivenesscrive:

28 Novembre 2006 alle 23:06

…Esplodo io se non ti dai da fare!!!

26. Jean Harlowscrive:

23 Novembre 2006 alle 19:21

Io odio gli interisti!No scherzo…nn mi interessa…
Hai visto che J. torna sempre Jean?hehehe…ma che viaggiatore sei!Motivo dei tuoi spostamenti?

Comunque rimango per la monarchia…inutile, starò sempre dalla parte del più forte…
Un bacio Jean

25. Jean Harlowscrive:

22 Novembre 2006 alle 14:16

Ma questo nuovo post???
Come stai caro?
Qua tutto splendidamente…bugia…
un soffice bacio

24. falivenesscrive:

20 Novembre 2006 alle 09:32

felice settimana, appena posso ti invierò i codici che ti cambieranno solo il Font!!!
Bacio Sà

23. ivy phoenixscrive:

18 Novembre 2006 alle 18:08

appena ho fiato ti rispondo…
happy domenica

22. Jean Harlowscrive:

17 Novembre 2006 alle 12:41

Passavo a salutare ed a augurare un buon week…
Bacio J.

21. Jean Harlowscrive:

16 Novembre 2006 alle 22:11

Come mai il piede?
Come mai il piede?
Come mai?
La mia ossessione, la mia malattia…non chiedere non chiedere mai mai mai…ma invece di chiedere cerca di leggere sempre fra le righe…
Un dolce bacio mio angelo custode

20. jennynutellascrive:

11 Novembre 2006 alle 20:23

La lingua incanta, racconta, eccita, invoglia, stupisce, accarezza, offre…Un`arma di seduzione pazzesca, piena di fascino e di sensuale mistero se usata da una donna che sa quello che vuole… o da un uomo che ti trafigge il cuore….=) Grz per la visita al mio blog e a presto, spero. Big kisses, Jenny

19. falivenesscrive:

10 Novembre 2006 alle 21:39

Domani se ho tempo ti invio i codici html per cambiare il font!!!!!!!!!!!!!!!!

  1. falivenesscrive:

10 Novembre 2006 alle 21:38

E? nnata iere
è doce comm?o mare,
ca? t?accarezza a sera
o’ core nun te ?nfonne
e nun ?o saje lassà.

E? nnata iere
e tene ll?uocchie nire
ll?uocchie r?a terra mia
ca? nun ttè’ ppuò scurdà.

E? nnata iere
e tene arinte ?o fuoche
c?abbruscia e nun fa male
ma nun fà arrupusà .

E? nata iere
tene a vucchella rossa
rire , te mette n?croce
cu ricciulille n? fronte
senza nun se po? stà.

Maronna comm?è bella
Se chiamma ?Libertà?.Nenè

La Partenope terra ti risponde così;-)

17. Angelascrive:

10 Novembre 2006 alle 16:52

Si Macerata, di Paole ne conosco qualcuna, ma nn saprei, sei Sardo?
Ciao!!!!

16. amanitascrive:

10 Novembre 2006 alle 14:01

adoro la fonetica! mì che ho changé l’indiriss! un bacio

15. Jean Harlowscrive:

9 Novembre 2006 alle 22:45

Ciao tesoro…questa sera non ci siamo proprio…lui mi blocca, mi fa soffrire, mi blocca, ho mille cose da fare e lui blocca tutto, sto da cani.
Ho bisogno di un uomo, un vero ragazzo con cui condividere tutto…
mi fa male il piede destro, questa sera il dolore è insopportabile…
tua J
ti manderò presto le foto con i quadri

14. onescrive:

9 Novembre 2006 alle 21:28

ma il blù….non lo capita….????

13. onescrive:

9 Novembre 2006 alle 21:02

kazzo ke lezione….
ci ripasso a mente fredda…
ciao one

12. Angelascrive:

8 Novembre 2006 alle 16:55

A dire il vero devo ancora laurearmi, studio lettere moderne all’università di Macerata e lavoro part time in una biblioteca, cmq sono davvero lusingata che mi si scambi per una docente…

11. Angelascrive:

7 Novembre 2006 alle 11:10

La quantità riguarda solo le vocali, dunque le doppie in italiano non credo derivino dalla perdita della quantità, la consonante che segue una vocale lunga non è sempre raddoppiata, la regola non vige, o sbaglio? La perdita della quantita, è un fenomeno dovuto probabilmete alla naturale tendenza del parlante ad eliminare tutto ciò che è eliminabile senza alterare la comprensione, la lingua tende da sempre a seguire un processo economico, in cui tutto ciò che non è indispensabile viene lentamente escluso: ciò è evidente al giorno d’oggi con la graduale scomparsa del congiuntivo nella lingua parlata, e del futuro che è ancora meno usato del congiuntivo, e che sta scomparendo anche dalla lingua scritta senza che nessuno se ne accorga, sostituito sempre più spesso dal presente, senza che ciò alteri minimamente la comprensione della frase (es. “più tardi esco a fare due passi”, o “l’anno prossimo vado in vacanza in Marocco”, nessuno dice più “più tardi andrò a fare due passi”). La perdita della quantità è un fenomeno che inizia a diventare evidente a partire dal IV sec d.C. per tanto appartiene al latino tardo, in concomitanza con l’ormai segnato declino totale dei casi in favore dell’uso delle proposizioni, tutto ciò corrisponde ad un’esigenza dei parlanti di semplificare una lingua che evidentemente aveva dei connotati troppo arcaici ed elaborati? D’altra parte la vittoria della semplicità è evidente in ogni momento della storia della lingua: non è forse l’inglese la lingua che si va diffondendo sempre più, lingua tanto semplice quanto povera, che introduce il maggior grado di comprensibilità tra parlanti di tutti i continenti?

10. verdanascrive:

6 Novembre 2006 alle 23:34

azz… che post… che ti sei mangiato, un pane d’haschish? mi pare che qualcuno risciacquò i panni in Arno, no?
Buone nuove. Lucido il piatto d’argento.

9. Jean Harlowscrive:

6 Novembre 2006 alle 23:25

Per quale aspetto siamo simili?
Un bacio grande…tua J.

8. ivy phoenixscrive:

6 Novembre 2006 alle 22:24

oh maaaiii goooaaad!
ehm meglio che glielo spieghi sì…
moooolto meglio prima che si spinga ancora più in là…..

7. pecscrive:

6 Novembre 2006 alle 13:59

Ti lascio un bacio.. co la lingua ovviamente!

6. falivenesscrive:

5 Novembre 2006 alle 10:14

Ascolta ti volevo avvisare che c’è una petizione urgente ed importante da firmare:PER L’ABOLIZIONE DEI COSTI DI RICARICA DEI TELEFONI CELLULARI FIRMATE LA PETIZIONE PER VOI E PER I VOSTRI FIGLI, PER I VOSTR AMICI; PER LA LEGALITA’ E CONTRO LE TRUFFE!!!cIAO tVB:-)Nenè

P.S. lezione da aula magna tornerò a gustarla meglio

5. giampaoloscrive:

4 Novembre 2006 alle 19:15

Che belli i dialetti,radici della nostra tradizione che si tramanda di padre in figlio.E che lingue nella foto!!!ciao

4. ivy phoenixscrive:

3 Novembre 2006 alle 16:00

ma questa è una lezione di linguistica universitaria…

3. Jean Harlowscrive:

1 Novembre 2006 alle 21:21

Ed è per questo che non ti libererai di me tanto facilmente!!!!

2. Jean Harlowscrive:

1 Novembre 2006 alle 17:05

O dorothy de il mago di oz….interessante …io la lingua me la dovrei cucire più spesso…
Che giornata detestabile oggi…voglio che arrivi la sera sono poco tollerante, odio, volevo stare sola oggi…
jean

  1. cinqueconfiniscrive:

31 Ottobre 2006 alle 03:53

dio santo…mi hai stordito….

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