ALL’ORIGINE DI UN’IDEOLOGIA ABERRANTE

Lezioni condivise 42 – “Quel cibo che solum è mio…”

31 Mag 2010 @ 10:23 PM

L’avvento di Soderini alla gonfaloneria fiorentina nel 1502, coincise con un periodo di consapevolezza della città della propria centralità, essa manteneva tuttavia una debolezza di fondo; si trattava di uno stato non vasto, senza milizia proprie, con divisioni interne… memore della politica di Lorenzo il Magnifico, tendeva ad ottenere un equilibrio tra le forze in gioco, praticando la dilazione, il rinvio, delle scelte definitive; temporeggiare consentiva un maggiore uso della ragione.

A questo scopo era stato adottato anche un sistema di ambascerie stabili con altri paesi europei. Il ruolo dell’ambasciatore era diverso da quello attuale in quanto riguardava anche le semplici comunicazioni, mancando i mezzi di comunicazione alternativi. Gli ambasciatori erano sempre aristocratici. Machiavelli, uomo di Soderini, viaggiava al loro seguito.

Le ambascerie venivano studiate attentamente, anche attraverso la psicologia degli uomini e dei popoli.

La partecipazione alle missioni di più o meno gente significava dare più o meno importanza alle ambascerie, per le quali veniva mandato in avanscoperta un corriere. Una volta Machiavelli stette sei mesi in Francia, a guadagnar tempo.

I fiorentini si basavano sull’esperienza, anche in base alla codificazione dei proverbi (si rifacevano alla saggezza popolare) e all’autorità dell’ipse dixit, ciò che avevano detto le persone illustri.

Da queste esperienze il Nostro traeva dei saggi. Nel “Ritratto delle cose di Francia” i francesi sono descritti inizialmente più che uomini, dopo meno che femmine. Essi sono irruenti subito, ma non sopportano i disagi a lungo. Gli spagnoli invece sono testardi… Un audace non sarebbe diventato mai prudente e viceversa.

E’ la nascita di una scienza politica, in quanto si cerca nell’attuazione di essa di un criterio razionale (contrariamente all’irrazionalità del tempo precedente).

In politica è necessaria la forza, il ragionamento, l’assunzione di decisioni differenti a seconda dell’interlocutore… una serie di concetti che possono andar bene nei giochi di strategia, ma che insieme, applicati alla realtà, costituiscono gli elementi per un’ideologia aberrante, cui verrebbe voglia di applicare la stessa fellonia per distruggerla, se fosse efficace la replica rabbiosa che suscita.

Eppure, come ho scritto in un precedente post, il cinismo del Machia, fa un po’ a pugni con la sua vicenda personale.

Secondo Guicciardini, con cui Machiavelli ebbe un lungo carteggio, la civiltà italiana di allora era la migliore che ci fosse stata dal tempo dei romani, ma poco tempo dopo questa situazione si trasformò in ruina, in politica da biasimare.

Nel 1494 ci fu la calata di Carlo VIII di Francia. Veniva a regolare la rottura degli equilibri avutasi dopo l’uscita di scena del Magnifico, il presunto tentativo di egemonia da parte del Regno di Napoli e le incerte alleanze che coinvolgevano papa Alessandro VI Borgia (padre del Valentino, di Lucrezia e diversi altri), Ludovico il Moro (duca di Milano) e gli stessi Medici.

Secondo il Segretario fiorentino (cap. XXV de “Il principe”), si ebbe una “variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dí, fuora d’ogni umana coniettura”. Egli introduce il concetto di fortuna, intesa sia come accidente improvviso, ma anche come accadimento in qualche caso prevedibile. Ecco allora il paragone del fiume che quando è in piena travolge tutto senza possibilità di rimedio, ma in tempo di bonaccia è possibile fare gli argini, quindi influire sulla fortuna.

Prima del 1494 si ebbero cinquanta anni di pace, situazione consolidata, equilibrio. Lorenzo il Magnifico, molto diplomatico, dosava ogni comportamento, si stava bene economicamente, ma la sua azione era rivolta solo al presente; in quel periodo di pace si sarebbe potuto fare quanto necessario a prevenire sventure future. Perché, sempre secondo Machiavelli, i fatti imprevedibili non possono essere più contenuti quando sono in corso:

I principi non accudino la fortuna, accudino la ignavia loro”.

La calata di Carlo VIII stravolge tutta la politica fiorentina; il temporeggiare, il ragionare, acquisiscono improvvisamente una valenza negativa.

Machiavelli confuta che anche in anni violenti, di guerra o di agitazione sociale, si prenda tempo e non si pervenga a decisione. L’Italia (inteso come stati italiani) era nelle condizioni di farsi aggredire da chiunque.

Nel 1512 egli cessa il suo incarico di Segretario dello stato fiorentino (che tenne dal 1494 al 1512), sospettato di aver congiurato contro i Medici, viene rimosso ed esiliato, costretto a ritirarsi in campagna a Sant’Andrea in Percussina, ove aveva un podere.

Da qui il 15 dicembre 1513, scrisse una lettera al Vettori (ambasciatore fiorentino presso il Papa), lettera considerata molto importante sia sotto il profilo letterario, che quello storico, per le informazioni che riporta.

Un cenno alla fortuna “poiché… vuol fare ogni cosa, ella si vuole lasciarla fare, stare quieto e non le dare briga, e aspettar tempo che la lasci fare qualche cosa agl’huomini; e all’hora starà bene a voi durare più fatica, vegliar più le cose, e a me partirmi di villa e dire: eccomi”.

Nella lettera accenna alla composizione de “Il principe”, vi descrive la sua vita in campagna, la caccia, il far legna, il gioco a carte nell’osteria… “Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.

E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso – io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De principatibus“…

La lettera fa cenno anche alla volontà di dedicare a Giuliano de’ Medici (il Fatuo), la sua opera “De principatibus”, ma egli morì nel 1516 e la dedica passò Lorenzo II de’ Medici, suo nipote (zio) e del Magnifico (nonno).

Ne l’ “Esperienza delle cose moderne”, con cui dedica il trattato, nel tentativo di essere perdonato e di poter rientrare dall’esilio, fa riferimento alla sua esperienza, ai viaggi in Francia (alleata di Firenze e più forte stato d’Europa), non come turista, ma con incarichi politici; ai viaggi verso Cesare Borgia (il Valentino), modello di Principe, anche riguardo alle strutture dello stato; a Roma, per il conclave e ove poteva interessare a Firenze.

Da queste missioni egli inviava dispacci tecnici basati sull’osservazione della realtà. Scriveva inoltre per gli amici della cancelleria, cui trasmetteva la sua esperienza ed esprimeva i suoi giudizi, usando in questi casi il linguaggio politico.

Di questa conoscenza “imparata con una lunga esperienzia delle cose moderne et una continua lezione delle antique…” fa dono al duca.

(Letteratura italiana 24.4.1996) MP

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SOLLAZZARSI CON “L’ARTE DI AMARE”!

Lezioni condivise 33 –  Il Sade italiano ante litteram

31 Lug 2009 @ 11:23 PM

L’idea di dover partecipare a un seminario sul Machiavelli non mi andava tanto a genio, da anni mi capitava di citarlo come esempio nefasto da evitare, con l’ausilio di aggettivi non gratificanti. Dopo il seminario non cambiai certo idea, anzi arricchii la mia conoscenza per consolidare il mio pensiero negativo, tuttavia ebbi la conferma che non bisogna essere prevenuti su alcun tipo di cultura perché comunque sarà sempre un ulteriore bagaglio utile sotto i più vari punti di vista.

Insomma, quasi nessuno è cane al cento per cento.

Il docente, autore di una famosa antologia per la scuola superiore, con fama di donnaiolo, dopo aver civettato con le studentesse dei primi banchi e averci spiegato che, ahiloro, studenti di un tempo, costretti a sollazzarsi con “L’arte di amare” di Ovidio, espose linearmente le vicende del Nostro.

A quel punto scoprii che l’unica simpatia per Machiavelli poteva essere la non osticità delle sue teorie, insomma aberranti si, ma semplici, insieme a qualche altro aspetto secondario della sua vita di intellettuale, l’esposizione, lo studio. Forse per questa immagine tranquilla e remissiva, molto in contrasto con la sua politica, alcuni letterati hanno inteso dare in determinati periodi storici interpretazioni assolutamente singolari, fino ad affermare che “Il principe” non è altro che una invettiva contro il potere assoluto e la dittatura, forse deducendolo dalle simpatie da egli mostrate per il Savonarola.

Quella del Machiavelli è una vita per la politica, tutta la sua opera è volta a dare una risoluzione al problema della ruina dell’Italia.

I suoi discorsi sono degli interventi politici, “Il principe” è una sorta di manifesto scritto di getto tra luglio e dicembre del 1513… Proprio il 10 Dicembre, in una lettera al suo amico Francesco Vettori è annunciata la pubblicazione del piccolo trattato.

Per Machiavelli lo studio del passato serve per capire meglio il presente. “Il principe” è al centro della sua opera, gli altri testi fanno da complemento. Nel “Ritratto delle cose di Francia” (politica estera), percepisce la creazione degli stati nazionali, con forme anche istituzionalmente nuove. L’italia invece è divisa in molti staterelli, anche male organizzati: o l’Italia avvierà la creazione di uno stato forte come Spagna e Francia, o l’Italia non sarà mai…

“Il modo tenuto dal duca Valentino…” analizza l’azione di un signore che secondo Machiavelli aveva capito che in Italia occorreva un principe e forme istituzionali nuove. La stessa “Mandragola” è un’opera politica. A Machiavelli si attribuisce anche il merito di aver elaborato un discorso politico-linguistico, diverso da quello filosofico.

Possiamo suddividere al sua vita in quattro parti. Il primo periodo (1469-1497) è quello della giovinezza e della libera osservazione del mondo. Esprime giudizi su Savonarola. Lo ammira, con qualche perplessità.

Il II periodo (1498-1512) è di intensa e partecipata attività politica al servizio della prima repubblica fiorentina (nata da Gerolamo Savonarola dopo la prima cacciata dei Medici). Si dedica al suo compito di segretario, partecipa, si fa coinvolgere completamente e viene ripreso dai politici perché trae conclusioni dal suo lavoro, entra nel merito. Predomina in questo periodo un’attività pratica.

III periodo (1512-1520), quondam segretarius, post res perditas (dopo che le cose sono state perdute). Cacciato dalla cancelleria, sospettato di partecipazione alla congiura antimedicea. Viene carcerato e condannato, torturato poi esiliato a San Casciano. Acquista rilievo la lezione delle cose antiche, che si innestano con le cose moderne. E’ il periodo delle grandi opere: Discorsi, Principe, Mandragola, Arte della guerra. Elabora una sorta di “empirismo applicato”.

La lettera al Vettori, considerata molto importante dai critici, è incentrata su come il Machiavelli trascorreva la sua giornata nell’esilio di San Casciano, essa è pervasa di pessimismo antropologico, di osservazioni sulla fortuna e la sua condizione. Egli divide la sua giornata in due parti, la prima è condivisa con la plebe del luogo (caccia, osteria, osservazione del traffico locale, apprendimento di notizie), di cui assume anche la rozzezza, “venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio…

Nel quarto periodo (1520-1527) vi è un graduale tentativo di rientrare nell’ambito della politica, più o meno fallito, scrive le “Istorie fiorentine”, ottiene ambascerie minori, funge da mediatore in un litigio tra correnti, sviluppa il carteggio con Guicciardini.

La sua famiglia era di piccola nobiltà, decaduta, ma viveva dignitosamente. I genitori scrivevano. Il padre era legato alla cancelleria fiorentina cui avviò il figlio. Della cancelleria faceva parte anche Coluccio Salutati, in genere chi ne faceva parte aveva una formazione umanistica, anche se al di fuori della cultura ufficiale medicea (neoplatonismo di Ficino).

Il neoplatonismo era una cultura di evasione favorita da Lorenzo il magnifico: figura della donna di perfetta bellezza; studio dell’assoluto e banalizzazione del quotidiano, contingente. Sorta di astrazione per letterati (la politica la faceva lui).

Machiavelli possedeva un libro di Lucrezio, ateo, che ci fa pensare al realismo di Machiavelli (militante e non contemplativo). Il suo realismo gli impedisce di sottomettere la realtà alle idee precostituite.

Guicciardini lo definisce stravagante, inventore di cose nuove e insolite. Attento non a come si dovrebbe vivere, ma a come si vive, essere e dover essere. Egli sembra non credere in una forza esterna che possa mutare la realtà. Visione opposta a quella di Dante: caduta uomo – Cristo – nuova caduta – veltro o un DVX (“nel quale un cinquecento diece e cinque,/ messo di Dio, anciderà la fuia/ con quel gigante che con lei delinque“).

(Letteratura italiana – 17.4.1996) MP

Commenti (3)

Sollazzarsi con “L’arte di amare”
3 #
ivy
donotpanichereiam.blog.tiscali.it
79.40.238.178
Inviato il 07/10/2009 alle 10:27
prometto che torno a leggerti con calma.
volevo dirti che mi fa piacere trovare un altro post..
e scritto con la tua solita grinta..
a presto, stai bene max

Sollazzarsi con “L’arte di amare”
2 #
pharmakon
87.9.241.83
Inviato il 04/10/2009 alle 23:07
ah, ti va di bere qualcosa?
Attento a cosa ci metto dentro…
Ti piace giocare in maniera macchiavellica, vedo.

Sollazzarsi con “L’arte di amare”
1 #
Do
cotidievivere.blog.tiscali.it
87.21.219.160
Inviato il 27/09/2009 alle 13:33
ma… tutte ste donnine succinte che ci stanno a fare????

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